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Colledara
- aggiuntovi: Da Colledara a Firenze
Fedele Romani
R. Bemporad & Figlio, 1915, pagine 335

Digitalizzazione OCR e Pubblicazione
a cura di Federico Adamoli

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[ Testo della pagina elaborato con OCR ]

   Ma è tempo che venga a parlare della vita della nostra famiglia che riprese l'andamento di prima dopo il ritorno da Teramo. Mia madre fa ben lieta di ritrovarsi finalmente in casa propria e di poter riprendere le solite abitudini di economia e di lavoro e di tornare ad essere la Signora per eccellenza. Molto essa ebbe da fare per riprovvedersi di biancheria, di quella bella biancheria tessuta dai nostri contadini, tutta di lino, fatto seminare, gramolare, pettinare, filare da noi. Essa la serbava religiosamente in grossi rotoli bene allineati, dentro grandi casse.. Ce n' era della più fine per camice, della più grossa per lenzuola; della damascata per tovaglie, tovagliuoli e asciugamani. E tutta quella biancheria mandava un profumo, un po'diverso da quello del bucato, ma non meno suggestivo e confortante.
   E non solo la tela era tutta fatta fare da noi; ma il vino che bevevamo, il pane che mangiavamo, il sapone e tutti i salumi in genere, e qualche volta anche i vestiti di lana, specialmente quelli più andanti ed ordinarii. Ad ognuna di queste fabbricazioni presiedeva una persona di reputazione incrollabile nel suo mestiere. A ogni chiamata, esse si recavano dalle loro residenze, più o meno lontane, a casa nostra, portando con sé tutta la loro sicura esperienza di lunghi anni, e tutti i ferri e tutti gli arnesi del mestiere. Per noi ragazzi erano assicurati uno o più giorni di distrazione, così vivamente graditi in quella monotona vita del.villaggio. Volevamo vedere, o, meglio, toccare ad uno ad uno quegli arnesi che ci ripromettevano quelle ore di serena beatitudine; ma le nostre mani erano spesso punite: il che cominciava, già fin d'allora,