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Colledara
- aggiuntovi: Da Colledara a Firenze
Fedele Romani
R. Bemporad & Figlio, 1915, pagine 335

Digitalizzazione OCR e Pubblicazione
a cura di Federico Adamoli

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[ Testo della pagina elaborato con OCR ]

   piccola mano, e un po' ruvidetta pér il lavoro continuo, cercava le viscere più interne; e, in un baleno, trovava ed estraeva sapientemente i fagiolini, che io salutavo con un grido di gioia, quando erano ben graniti. Alle volte, ne rimaneva un pezzetto nell'interno: era una ribellione della mascolinità del pollo, la quale tentava di sopravvivere; ma, un altro colpo di mano, e il pezzettino veniva fuori anch'esso. Poi con quattro o cinque punti l'apertura era ricucita; ci si passava su col dito un po'd'olio di oliva, e l'operazione era fatta. Ma rimaneva ancora da tagliare la cresta, la bella corona del gallo, glorioso simbolo del comando e della forza. Mia madre la prendeva per la punta, e rapidamente la recideva con le forbici taglienti. Il pollastro che s'era rassegnato in silenzio a sentirsi rovistare tra gl'intestini, e all'interno strazio crudele; gettava due o tre piccoli gridi di protesta nel sentirsi tagliare il superbo ornamento esteriore : tanto anche ai pollastri preme più il parere che l'essere. Mia madre arrestava il sangue, che scorreva dalla ferita, con un pizzico di quelle piume che, al principio dell' operazione, aveva carpito dalla parte posteriore. Il cappone era fatto; e se ne andava con quell'effimero pennacchio sulla testa, che lo rendeva oggetto di scherno per le conscie galline, le quali al vederlo s'ammiccavano tra loro furbescamente.
   E l'oculata operosità della povera nostra madre non si rivolgeva soltanto alla comodità della sua famiglia e a preparare il cibo della nostra mensa. Anche lei preparava il mangiare per le opere che lavoravano in campagna. Le persone di servizio non si dovevano immischiare in questo. E che saporite e abbondanti minestre essa allestiva a quella povera gente che bruciava sotto il sole, mentre noi ce ne stavamo tranquilli jn casa nostra. Quelle