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Colledara
- aggiuntovi: Da Colledara a Firenze
Fedele Romani
R. Bemporad & Figlio, 1915, pagine 335

Digitalizzazione OCR e Pubblicazione
a cura di Federico Adamoli

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[ Testo della pagina elaborato con OCR ]

   stante di vino ; e ogni famiglia ha il suo bicchier di vino speciale, che non è, neppure, tutti gli anni lo stesso.
   Mio padre sorvegliava con amore, benché un po' distratto dalle cure della professione, i lavori della vendemmia; ma i suoi metodi si mantennero sempre, nonostante qualche piccola novità via via, quasi del tutto primitivi, e gli stessi, in fondo, di quelli degli altri pro-prietarii di quei luoghi.
   Io amavo quell'andare e venire, quei muli carichi d'uva, quell'acuto odore di vinaccia e di mosto, quell'operoso ronzio di api e di vespe attorno ai bei grappoli succosi, e gii stornelli delle giovani vendemmiataci, che, illuminati di sole e d'amore, echeggiavano per la Valle, suscitando nel mio petto un senso indefinito di profonda poesia. Mi giunge ancora dalle remote serenità del passato la voce di Luisa che canta La violetta, e risento ancora Mariuccia che, in una catena di altre robuste fanciulle, intona il coro:
   Quando nascesti tu, stella tacente....
   Ogni sera si radunava nel hregno (dial. vragite : così si chiama l'edifizio dove si pesta l'uva e si cuoce il mosto) un festoso gruppo di giovanotti e di ragazze, allegri come il fuoco della caldaia che colorava i loro visi. Rivedo tra essi il bregnarolo Carluccione, coi suoi pantaloni rimboccati fin sopra il ginocchio e col suo inesauribile tesoro di frizzi, di motti e di aneddoti maliziosi. Ma i più caldi applausi gli toccavano quando rifaceva il parroco nella predica della Pasqua di Risurrezione: predica che, da quarant'anni, era sempre la stessa, senza die una parola, né una sillaba fosse mai cambiata; e perciò era costata poca fatica a Carluccione d'impararla