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Colledara
- aggiuntovi: Da Colledara a Firenze
Fedele Romani
R. Bemporad & Figlio, 1915, pagine 335

Digitalizzazione OCR e Pubblicazione
a cura di Federico Adamoli

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[ Testo della pagina elaborato con OCR ]

   qualche solderello per darcelo al momento dell'addio, quando partivamo per gli studii; e guei solderelli, che essa aggiungeva ai denari datici dal babbo, non erano già il meschino saggio, come a volte accade, di un tesoro nascosto; no: erano tutti quelli, proprio tutti quelli che essa aveva e che era riuscita a salvare tra tante spese. E noi li accettavamo, spesso voltando il viso dall'altra parte per nasconder le lacrime die quell'atto pieno d'inconscia, ingenua gentilezza faceva sorgere nell'anima nostra.
   E la casa era sempre pulita come uno specchio: ogni cosa aveva il suo posto; nè stanchezza, nè pigrizia dovevano mai indurci a lasciarla altrove dopo ehe l'avevamo presa e usata. E noi bambini portavamo abiti semplici, ma puliti e senza strappi; e nessuno ei vedeva girare per il villaggio come tanti altri, appartenenti anch'.essi a famiglie di benestanti, con le scarpe a bocche aperte e coi calzini sbrindellati che vi ricadevano sopra. La povera mia madre era sempre a pensare e a riflettere con quella sua bella fronte quadrata, piena d'intelligenza, per trovar modo di mandar avanti bene la famiglia e di toglier d'imbarazzo il marito, quel marito pel quale, più che amore, ella aveva adorazione.
   Mio padre era portato a una certa larghezza e a una eerta comodità di vita, per quanto l'ambiente del villaggio lo permetteva. Egli era molto conosciuto ed apprezzato anche nel capoluogo della provincia, e desiderava di figurare e di mantenersi degno, anche per la vita esteriore, di quella considerazione e di quel rispetto, di cui tutti lo circondavano. Perciò egli spesso veniva a trovarsi a dover spendere più di quello che forse poteva. Ma mia madre vegliava, infrenava e regolava quegl' impeti troppo genero». Eppure essa era uscita da famiglia agiatissima,