mento di famiglia e di stirpe, mi nasce nell'anima un vivo desiderio di dar forma eterna con la voce dell'arte a quella vita, a quei sentimenti, a quegli affetti; e vorrei saper esprimere tutto quello che io immagino, tntto quello che io vedo ; vorrei scrivere la pagina che ho sempre sognato, ma non ho saputo mai scrivere: quella pagina in cui l'anima mia ha tante volte cercato di fermare le pių musicali e pių divine sue vibrazioni.
Mentre ora ricordo e scrivo, mi trovo all'ombra d'un faggio dell'Appennino toscano. Ai miei piedi si stende, piena di luce e di colori, la gaia pianura dove fiorisce Pistoia. Tutt'intorno mi conforta e saluta un pensoso profuma di fieno, che gli uccelletti sanno tradurre-in liete note d'amore. Da una villetta vicina salgono, pične di visioni Ģ luoghi, di tempi e persone care e d'indomabili speranze, le note d'un valzer. I monti che mi fanno corona noų sono quelli del nativo Abruzzo; non hanno il loro sguardo terrėbile, quella faccia minacciosa; non sanno dire le loro sublimi parole: essi sono pių miti e pių gai; il loro linguaggio č pių dolce, e l'abito pių gratile. Ma, laggių lontano, alla mia destra, s'affaccia ardita un'aspra e nuda punta grigio rosata, che sa risvegliarmi pių vivo il ricordo di quella del mio superbo Monte Corno; e io rivolo col pensiero alla Valle Sicula, conca verde che si incurva dinanzi al gigante d'Italia; e nel bel mezzo di essa vedo elevarsi il colle vestito di querce e di ulivi, dove ride, macchia bianca tra il verde, il mio piccolo Colledara. Ai suoi piedi, il vecchio Mavone va ripetendo alle rocce e ai seminati gė' instancabili inni alla sua bellezza e al suo riso. E rivedo la mia casa col colore che essa aveva quando ero bambino, col pesante cornicione ideato dal nonno: le finestre, il portone, le camere, le stanze, la sala, tutto riprende il colore, l'aspetto di quando ero fanciullo. Č una