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Colledara
- aggiuntovi: Da Colledara a Firenze
Fedele Romani
R. Bemporad & Figlio, 1915, pagine 335

Digitalizzazione OCR e Pubblicazione
a cura di Federico Adamoli

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[ Testo della pagina elaborato con OCR ]

   serena e laminosa giornata d'estate: il Gran Sasso spicca nitido e tagliente sul cielo azzurro: il caldo, temperato da una fresca e viva brezzolina, che viene dalla parte del mare, parla d'ogni intorno con la misteriosa voce delle cicale e con un penetrante odore di biade mature. È già mezzogiorno: l'ombra proiettata dalla casa davanti al portone si è già raccorciata fino al mezzo della via: questa è la più sicura delle meridiane. È mezzogiorno: la tavola è apparecchiata e la bella tovaglia di lino damascato biancheggia su di essa. La donna entra nel portone in questo momento, tornando dalla fontana con la lucida conca di rame sulla testa: la limpida acqua fresca si agita e scintilla al sole. Ma la minestra non è ancora stata messa. Perchè? Chi si aspetta? 11 babbo non è tornato ancora da Tossicia, dove è andato per una causa in pretura. La mamma s'affaccia ansiosa alla finestra, va e viene e guarda lontano. Ecco là, sul colle di faccia, nella strada della fonte, un ombrellino chiaro tra le folti siepi, e s'avanza: — È lui; mettete la minestra. — E dopo dieci minuti, ecco un allegro scalpitio della giumenta sui ciottoli della via, e un allegro nitrito cui risponde dalla stalla chiusa un altro, sordo, nitrito di lunga aspettativa appagata. Ecco il babbo che sale le scale col suo bel viso sincero e sorridente, tenendo bravamente in mano una frasca di sanguinella con cui ha sferzato la giumenta. Avanti: ci siamo tutti: a tavola.
   Uno dei miei divertimenti in quella semplice e monotona vita del villaggio si era d'insinuarmi nello studio del babbo, quand'egli discorreva coi clienti. Questo studio era una piccola stanzetta, i cui soli mobili erano uno scaffale