Stai consultando: 'Colledara - aggiuntovi: Da Colledara a Firenze', Fedele Romani

   

Pagina (64/336)       Pagina_Precedente Pagina_Successiva Indice Copertina      Pagina


Pagina (64/336)       Pagina_Precedente Pagina_Successiva Indice Copertina




Colledara
- aggiuntovi: Da Colledara a Firenze
Fedele Romani
R. Bemporad & Figlio, 1915, pagine 335

Digitalizzazione OCR e Pubblicazione
a cura di Federico Adamoli

Aderisci al progetto!

   
[Home Page]




[ Testo della pagina elaborato con OCR ]

   toppe, dove non si sa più quale sia la toppa rimasuglio dell'abito primitivo: il più disperato del villaggio, per modo che il suo nome ha finito col voler dire povero in canna ; e Cicicco, con la voce animalesca e stridente come quella dei maiali che egli scanna da maestro.
   Quasi tutti erano chiamati, come si vede, col soprannome. Il nome non ha quasi mai nessuna relazione con la persona che lo porta: esso è dato poco dopo della nascita, ed è difficile che poi venga a mettersi in qualche rapporto, o per il suono o pel significato, con la persona che lo possiede. A questo difetto ripara il soprannome, che è quasi sempre suggerito da qualche azione, o qualità, o detto della persona a cui è attribuito. I soprannomi sono tanto più frequenti là dove è più facile, per lo scarso numero delle persone, acquistar profonda conoscenza di esse. Meglio si conoscono le persone, e più si è scontenti del loro nome che non ce le rappresenta bene. Perciò gli scolari chiamano, quasi sempre, con un soprannome i loro maestri, anche quelli a cui voglion bene : sentendoli parlare, si può dire, dalla mattina alla sera, ed essendo obbligati a tener loro sempre gli occhi addosso, anche per anni ed anni, finiscono con l'averne una conoscenza tale che fa nascere spontaneo sulla loro bocca il vero nome che, secondo loro, il maestro era nato a portare.
   E la scarsezza del numero delle persone da cui siamo attorniati, non serve soltanto a rèndere più profonda la conoscenza di esse: il nostro spirito, o in un modo o in un altro, cerca di adoperar sempre tutte le sue forze. Nel mio villaggio io conoscevo i galli, e le galline, i muli, le pecore, i cani; ne vedevo la fisonomia, ne indovinavo l'indole e i sentimenti, come facevo con le persone. E non mi limitavo a questi animali grandi e domestici: