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Colledara
- aggiuntovi: Da Colledara a Firenze
Fedele Romani
R. Bemporad & Figlio, 1915, pagine 335

Digitalizzazione OCR e Pubblicazione
a cura di Federico Adamoli

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   gione delle sue svariate e non comuni attitudini meccaniche, quanto per le mille liti che tenevano in continuo moto turbinoso iL suo versatile cervello. E il turbine interiore si rifletteva al di fuori nel turbine inesauribile del discorso. Le sue parole si seguivano, o, meglio, si rincorrevano coq rapiditā fulminea; entravano l'una dentro l'altra come i tubi d'un canocchiale, e formavano una specie di stenografia applicata ai suoni.
   Egli soleva mostrare con orgoglio ai visitatori la sua quercia, e forse gli pareva che il merito di quella lunga vita si riflettesse, in certo modo, su di lui. Aveva adattato alia piccola apertura che dava adito alle cave caverne una rozza porticina e una sbarra; e dalle fessure, mentre egli da bravo cicerone esaltava i meriti e l'utilitā di quel monumento vegetale, spesso s'affacciavano, grugnendo, e soffiando, quasi a dar credito alle sue parole, i neri irrequieti musi, sudici di crusca, di tre o quattro maiali.
   L'altra pianta che, come ho detto, destava in me un sentimento di ripugnanza mista a paura, aveva una specie di pancia umana, e in fondo alla pancia i bruchi tessevano in folla le loro luride tele. Quella era la rogna ; non c'era nessuno che, passando, non si scostasse da quella quercia maledetta, su cui gli uccelli non ardivano nč di fare il nido, nč di fermarsi a cantare.
   E cosė il mio piccolo Colledara veniva ad acquistare per me la popolazione di Parigi o di Londra; ed era vero ancora una volta che l'uomo non puō cambiare che solo in apparenza l'essenza delle cose; o, per meglio dire, die tutte le cose in fondo si equivalgono, e che se da un lato si perde, dall' altro si acquista, come avviane nell'orologio a polvere.