minaccia, e il rimbombo di quelle parole riempie la Valle di ghiaccio e di sgomento. Quel terribile nume di pietra, assalito da uno sdegno inesplicabile all'uomo, ribolle e ansa nelle oscure profondità del suo petto, e ne freme tutta la fosca persona, dove sono accennate e confuse le linee e le forme di tutti i sentimenti, di tutte le passioni, di tutti gli affetti, tutti in lotta fra loro, e tutti desiderosi dell' ultima vittoria. E al cupo rimbombo delle minacce seguono i subitanei serpeggiamenti dei baleni. Le campagne dintorno curvano il capo silenziose, atterrite di quello sdegno che esse non possono nè sanno infrenare.
Ma ecco, a un tratto, da quelle tenebre e da quel silenzio si leva una vocè di pianto, lunga, insistente: è il pianto di tutte le mèssi, di tutti gli alberi, di tutti gli animali, di tutti i cuori umani, riuniti in una voce, in un pianto solo; e la campana l'invia e l'offre con la sua bocca di bronzo al nume coronato di nubi e di saette. Non sempre il selvaggio petto del Dio s'intenerisce a quel suono; e spesso, fatto più furioso dalle stesse preghiere, scatena più fiera la furia della grandine e della tempesta. Ma, a volte, il suono lamentevole della campana, cui s'aggiunge un frequente scoppiettar di fucilate, arriva a toccare le cupe viscere di pietra; e le nubi si dileguano, e il Gran Sasso riappare con la faccia nuda e ricomposta, benché con l'aria ancora stanca della terribile convulsione che l'ha agitata e stravolta.
La mattina della domenica, dai cinque villaggi detti Ville di S. Paolo si vedevano, tra le querce e le siepi, altrettanti rivi variopinti che, come raggi, si dirigevano verso il centro, il quale era la vecchia e buona chiesa. Il rivo che partiva da Colledara si riuniva, a un certo punto, con quello di Carancia, poi con quello dei Pan-