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Colledara
- aggiuntovi: Da Colledara a Firenze
Fedele Romani
R. Bemporad & Figlio, 1915, pagine 335

Digitalizzazione OCR e Pubblicazione
a cura di Federico Adamoli

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[ Testo della pagina elaborato con OCR ]

   ligione, come se si trattasse d'un tesoro. E liberandosi ogni tanto dai gran baffi la gran bocca, incominciava a declamare, dando ogni tanto occhiate interrogative al vicino. E guai se questi mostrava d'essere distratto e non stava ad ascoltare cogli occhi e la bocca spalancata. Una volta, mi ricordo, andai a fargli una visita per incarico di un mio amico che desiderava venire con me a Nicastro come commissario di esami nella riparazione di ottobre, poiché il mio compagno di luglio non voleva tornarci. Sul principio mancò poco che non iufuriasse. Mi disse ch'egli non accettava suggerimenti, che egli sapeva bene quel che doveva fare, che qua, che là. Allora non so con che destro giro feci cadere il discorso sui suoi versi e sul piacere che io prendevo a leggerli. U cielo si rasserenò, tornò il sorriso tra il candido scompiglio e arruffio dei capelli, e il mio amico venne a Nicastro. Ma la pagai cara a ogni modo, perchè per non breve ora dovei sorbirmi una vera grandine di armonie imitative, di ipotiposi, di metonimie, di sineddochi, tutto intero un trattato di retorica in azione. Mi ricordo che in un punto parlava di onagri (asini selvatici), che a bocca aperta contro l'aria l'aspiravano. L'emistichio diceva:
   e a sè il vento traggono.
   Allargava la voragine della bocca anche lui come un onagro e aspirando e quasi ragliando mi spiegava il profondo magistero di quegli spondei e di quel dattilo finale. Peccato che egli non pensava a far illustrare i suoi versi con la fotografia di quella bocca e quei suoi atteggiamenti.
   A proposito degli esami di Nicastro non sarà forse privo d'ogni interesse sapere perchè il mio compagno di