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Colledara
- aggiuntovi: Da Colledara a Firenze
Fedele Romani
R. Bemporad & Figlio, 1915, pagine 335

Digitalizzazione OCR e Pubblicazione
a cura di Federico Adamoli

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[ Testo della pagina elaborato con OCR ]

   vero prendere una risoluzione e che non era più il caso di starmene lì sulla sedia a leggere il giornale. Corsi vicino al professore che scriveva, e con fare risoluto e pronto che non ammetteva replica, e un po'anche sorridendo (ognuno può immaginarsi quanto fosse sincero quel sorriso), gli tolsi di mano il gesso e il. foglio: — Lasci scrivere a me, — gli dissi, — lei non ci vede molto bene. — Egli si ritirò un po' turbato nel corridoio vicino e io continuai a scrivere. Ma è presto detto: « io continuai a scrivere ». Io il tema non l'aveva letto avanti, non sapeva neppure di che trattasse, e non mi era dato, come ho detto, nessun pensiero di seguire il senso delle parole già scritte sulla lavagna. Si aggiunga a questo che ormai la mia fiducia nel greco del vecchio professore era un po'scossa e non ero più sicuro ch'egli avesse scritto il greco sul foglio senza commettere nessun sproposito. Senza essere un grecista io ero abbastanza esperto in quella lingua, non solo per quel che avevo studiato da scolaro, ma più ancora per aver insegnato quattro anni e mezzo nel ginnasio superiore ; ma avrei avuto bisogno, in ogni modo, di leggere il tema con attenzione e tranquillità per rendermi conto proprio di tutto. Andavo avanti fingendo una sicurezza che non sentivo, aspettandomi da un momento all'altro di dover inciampare in qualche sproposito anch' io, dietro la scorta malfida. Ma come Napoleone, ho anch' io mon étoile che mi risplende nei momenti solenni. Tutto andò bene; e appena io cominciai a scrivere con quella bella sicurezza, l'ordine della scuola fu subito ristabilito.
   Ma ormai il fatto avvenuto, il piccolo scandalo non si poteva più cancellare. Gli studenti cominciarono a far piccole riunioni e dimostrazioni e cominciarono a pretendere che il professore di greco li dovesse tutti appro-