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Colledara
- aggiuntovi: Da Colledara a Firenze
Fedele Romani
R. Bemporad & Figlio, 1915, pagine 335

Digitalizzazione OCR e Pubblicazione
a cura di Federico Adamoli

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   vare. In caso contrario, sarebbero ricorsi Dio sa a che mezzi. Il delegato di pubblica sicurezza informato di tutto disse che bisognava guardarsi, perchè quei ragazzi di Ni-castro, di carattere rozzo e violento, erano capaci di mandare ad effetto le minacce. Egli mandava all' albergo due guardie ogni mattina, perchè facessimo sapere cosi all'ingrosso tutto quello che avremmo fatto nella giornata e tutti i luoghi dove paremmo andati. Eravamo diventati davvero dne grandi personaggi ed avevamo l'onore della scorta. Ma tutta questa vigilanza non impedì che un pomeriggio, nel recarci al Ginnasio, non trovassimo davanti alla porta due ale di studenti con lunghi bastoni bianchi da pastore. Noi dovemmo passare tra quei bastoni, coi quali gli studenti in segno di minaccia picchiavano tutti insieme la terra, che simboleggiava le nostre spalle. Io passai con passo franco ma non acceleralo, senza dare nessun segno nè coi movimenti del viso nè col resto della persona di maraviglia o paura. Io non dico che, in fondo in fondo, un po'di paura non l'avessi: si sa, certe volte i giovani sono come i matti. Eppoi quei giovani non erano nostri scolari e non sentivano per noi nessuna affezione o speciale rispetto: noi non eravamo i loro maestri, ma soltanto i loro commissarli d'esami, ossia i loro carnefici. Ma come ho detto io non feci il minimo atto che indicasse paura. E io credo che il vero coraggio, la vera forza non consista nel non aver paura, perchè questo vorrebbe dire essere insensibili, leggieri o spensierati; ma consiste nel comprendere e sentire il pericolo in cui ci troviamo e allo stesso tempo nel poter mostrare di non farne nessun conto. Il delegato era un bravo giovine e si prendeva davvero gran pensiero di noi : qualche volta si affacciava anche alla saia degli esami orali. Forse egli, consigliato dal suo mestiere, esa-