Palermo non solo dalla bellezza della Conca, ma dalla topografia della città che si stende nel piano. Le città di mare spesso si svolgono in forma d'anfiteatro sulle spiaggie, e così tutto tende, tutto si volge, tutto precipita verso il mare, che tutto a sè raccoglie e concentra. Le più comode, le più belle strade sono generalmente sulla riva. Le altre strade sono spesso strette, corte e poco luminose; è in tal caso che tutti corrono al mare, che le stesse case si arrampicano le une sulle spalle delle altre per vedere il mare, ossia l'azzurro, ossia la luce. Ma a Palermo questo non accade; la città si svolge tutta lieta e bella e le sue parti più belle non sono, come ho detto, sulla riva del mare. E troppo essa rimane forse assorbita e inebriata da quel terreno profumo, che va alla sua bellezza come un incenso di perenne adorazione.
Per far sentire forse vieppiù il suo orrore, la morte ha stabilito il suo regno nel bel mezzo di così ridente e verde rigoglio di vita. Qui sorge il convento dei cappuccini e, per aver forse un'immagine più compiuta dell'oltretomba, al disotto del Paradiso essi hanno costruito il regno della muta gente, il Tartaro. Ottomila, cadaveri mummificati, cadaveri per lo più di religiosi, rivestiti di neri cenci coperti di polvere, orrìbilmente stranamente atteggiati, ricoprono tutt' intorno le pareti di ampii sotterranei del convento. Lo spettacolo è osceno e ripugnante. Alcuni morti sono distesi dentro casse o urne coi vetri, e i parenti visitano quei miseri resti e rinnovano via via i loro abiti, le loro scarpe, i berretti: ce ne sono infatti anche coi berretti. Quasi tutti i cadaveri portano appeso al eolio un cartello dove è segnato l'anno della mente. A Pindemonte, che lì guardò con occhio di poeta, pareva che quelle ossa rivestite di pelle nera o