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Colledara
- aggiuntovi: Da Colledara a Firenze
Fedele Romani
R. Bemporad & Figlio, 1915, pagine 335

Digitalizzazione OCR e Pubblicazione
a cura di Federico Adamoli

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[ Testo della pagina elaborato con OCR ]

   livo. Per paura che non ostante i buoni propositi non mi dovesse montare, qualche buona volta, il sangue alla testa, prima della scuola entravo sempre in. una farmacia dirimpetto alla porta del Liceo e prendevo una cartina di bromuro. I propositi così si rafforzavano e il mio beato sorriso assumeva un carattere di nuova infinita dolcezza. Io parlavo e sentivo giù in fondo alla classe una voce che mi faceva l'eco; io non guardavo neppure verso quella parte e continuavo a sorridere. Fissavo qualcuno mentre parlavo e questi fingeva di stare profondamente, troppo profondamente attento e mi guardava con aria maffiosa. — Cosa vuol dire un'aria maffiosa? — domanderà qualcuno. È qualche cosa che sta tra il canzonatorio, il malizioso e il provocante. E io sorridevo paternamente : oramai quel sorriso mi si era stereotipato sulle labbra e non ero più capace di raccoglierlo e restringerlo a un atteggiamento di severità. Se io mi fossi lasciato andare a uno scatto, lo studente mi avrebbe risposto guardandosi attorno e maravigliandosi: — Ma questo è il mio modo di fare, è l'aria di famiglia, io non la posso cambiare per far comodo agli altri. — Io avrei forse risposto ancora, ne sarebbe nata una discussione. Il giorno dopo ecco il padre, ecco lo zio, ecco il fratello offesi del modo poco gentile con cui avevo trattato il ragazzo: io l'avevo provocato. Lettera al deputato, lettere al Ministero. Pasticci senza fine : chi paga è il professore.
   E l'aria maffiosa non l'assumevano soltanto mentre io parlavo. Molti entravano in classe lentamente, con la giacchetta spalancata sul davanti, facevano il passo strisciando e allungando le gambe in maniera- impertinente. E io sempre sereno come nulla. Mai parole di rabbia, mai tono rabbioso. Se non sapevano la lezione, non li rimproveravo ; li rimandavo al posto con un gesto: fa-