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Colledara
- aggiuntovi: Da Colledara a Firenze
Fedele Romani
R. Bemporad & Figlio, 1915, pagine 335

Digitalizzazione OCR e Pubblicazione
a cura di Federico Adamoli

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[ Testo della pagina elaborato con OCR ]

   stretto a fare un voto di non scrivere sui giornali politici. — Lui capisce con chi ha da fare, inghiotte il boccone, saluta e se ne va.
   Il mio modo di fare mi suscitava sempre più rispetto. Qualcuno, come poi seppi, pensava : — Non ci si vince : pare uno dei nostri. — Ma ciò che mi dette proprio la palma furono le medie. Alle prime medie fu una vera strage : due, tre, quattro, zero, zero, uno due, tre, quattro: avevo certi figli di pezzi grossi che non facevano proprio nulla e s' erano convinti della propria impunità. Con costoro le mazzate furono più grosse. Il giorno che le medie furono pubblicate, parevano tutti santi e i più birichini erano diventati i più buoni. La più parte stavano con le braccia incrociate e mi guardavano fissi e stupiti, formandosi un'idea che io dovessi avere una forza e un coraggio infinito per dare tutti quei gran colpi a figli di gente che, se avessero voluto, avrebbero potuto polverizzarmi materialmente e moralmente. E io, come niente fosse, col solito sorriso. Ma oramai il sorriso era un'abitudine fatta e non altro. Non ce ne sarebbe stato bisogno perchè la vittoria era compiuta; ma non credetti opportuno smetterlo perchè mi pareva potesse, almeno in qualche circostanza, riuscir sempre di grande vantaggio. L'ascendente che io acquistai sugli scolari in breve fu tale che il preside, un brav' uomo, a volte mi diceva: — C'è oggi Lei nel pomeriggio al Liceo? — Se c'ero, soggiungeva: — Va bene, allora posso andare a dormire. —
   Ma ciò non toglie che ogni tanto, quando si trattava di ottenere qualche vacanza o di fare qualche protesta cóntro soprusi immaginarii o ingigantiti dal desiderio del chiasso e dal naturale odio alla scuola, non insorgessero con urli e grida e violenze; vetri rotti, porte sfondate;
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