tore. Egli insegnava storia. Aver» la debolezza di voler parer più giovine di quel che non ara e si tingeva. Ma chi può condannare un poeta se desidera dia sua forma corporea l'eterna giovinezza, che brama di trasfondere nei suol versi? Il suo vero nome era Ignazio. Ma come può un poeta chiamarsi Ignazio? E si cambiò il nome in Eliodoro (dono del Sole). Questo faceva si che io non potessi leggere a scuola quel verso del Purgatorio che dice:
Lodava i calci ch'ebbe Eliodoro,
senza che gli studenti dessero qua e là in soffocati sbuffi di risa. Come sono curiosi i giovani! O che^relazione c'era tra l'Eliodoro della Bibbia e il nostro Eliodoro che, poveretto, non aveva mai calci da nessuno, nè da uomini nè da cavalli? Andate a ragionare se potete con gli studenti! Essi hanno una logica speciale.
Ma non ostante i bravi scolari e i bravi colleghi, non ostante le bellezze della città e il profumo della zagara e le magnifiche passeggiate, la dimora di Palermo cominciò presto a riuscirmi non del tutto piacevole. Prima di tutto mi sconfortava la gran distanza dal mio paese nativo, e poi, la conoscenza che in me si veniva sempre approfondendo dei costumi e delle idee palermitane e siciliane, invece di stringermi sempre più al paese, mi divideva da esso. Da capo quell'antipatico contrasto che aveva sentito in Sardegna tra i due nomi di isolani e continentali; e a Palermo di contrasti ce n'era ancora un altro : Alta Italia e Mezzogiorno. Col tempo mi venivo sempre più accorgendo che sotto quella pompa magna di vita cittadina si trovava ii vuoto. C'era la vita che appaga l'occhio, vita apparante ed effimera, ma non la vita sostanziale, la vita vera che appaga io spirito. Quello