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Colledara
- aggiuntovi: Da Colledara a Firenze
Fedele Romani
R. Bemporad & Figlio, 1915, pagine 335

Digitalizzazione OCR e Pubblicazione
a cura di Federico Adamoli

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[ Testo della pagina elaborato con OCR ]

   spettacolo teatrale, quelle scene di cartone presto stancano che non se ne può più. Non c'erano (almeno allora) veri e proprii caffè nel senso nostro continentale (ripeterò ancor io questa parola che mi dava tanta uggia), dove si può andare non solo per prendere una bibita, ma anche per passare qualche ora con gli amici, quei caffè che sono in certo modo anche circoli No, i caffè, piccoli e non belli, erano luoghi dove a'andava, soltanto por bere. E se uno, presa Sa bibita, continuava a starsene lì seduto, il cameriere s'affrettava a prendere nuovi ordini. Era un tormento: bisognava o rassegnarsi a far la parte di scroccone o prendere il cappello e andarsene. Qualche industriale di ardite iniziative aveva osato, in quella città dove imperano certe tradizioni e certi costumi, di aprire un caffè con chellerine; ma dopo poche sere quei giovinastri furibondi di amore e di gelosia vennero a battersi tra loro: sedie per aria, bottiglie e bicchieri infranti, urli, revolverate.
   I Palermitani delle famiglie più notabili della città si raccoglievano in circoli, dove passavano, credo, il loro tempo per lo più nel giuoco; ma nessuno di quei circoli aveva il servizio di caffè o di trattoria, e chi voleva una limonata bisognava che se la mandasse a prendere in qualche caffè vicino. Ho detto non senza ragione « una limonata », perchè i siciliani sono ancora più temperanti dei calabresi e non amano i vini e i liquori, Amano per compenso molto gli sciroppi gelati e dolci, che fanno troppo zuccherosi ma squisiti nel loro genere: tra essi va specialmente famosa la cassata.
   Noi professori del Continente non avendo un caffè dove passar tra noi la serata rimanevamo in trattoria, continuando a star seduti a quella tavola dove avevamo desinato. Ma questo faceva sì che spesso nelle discus-
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