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Colledara
- aggiuntovi: Da Colledara a Firenze
Fedele Romani
R. Bemporad & Figlio, 1915, pagine 335

Digitalizzazione OCR e Pubblicazione
a cura di Federico Adamoli

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   che fa perdere l'autorità a certi maestri è appunto la confidenza che sogliono dare fuori della scuola ai loro scolari. Fuori della scuola non c'è più la collettività, ma gl'individui a uno a uno, per quanto sempre, in qualche modo, idealmente tra loro legati dal legame della classe. La classe invece comprende, è vero, molti individui, ma nello stesso tempo non è nessuno di essi. £ quando finita la lezione la classe si scioglie, non resta nessuno che possa dire, riferendo il giudizio solamente a sè stesso, il maestro mi ha trattato cosi e così e mi ha dato o no confidenza.
   Piaceva forse agli scolari l'assenza in me d'ogni sentimento di meschina pedanteria e il mio ossequio all'uso, più che alle cattedre intarlate dei linguaioli. Io non soglio mai dimenticare che quando i grammatici, le grammatiche e i vocabolarii non c'erano, la lingua c'era. Questo non vuol dire che, dentro certi limiti, io non sottoponga a discussione e ad esame anche l'uso. Per esempio, pur tributando all'uso toscano e fiorentino tutto l'ossequio che merita, lo combatto in quelle forme che sono troppo legate con la vita del luogo e sono sempre state respinte per più ragioni dagl' italiani delle altre Provincie : combatto insomma quelle che possono chiamarsi le toscanerie e le fiorentinerie, tanto nella pronunzia quanto nel lessico e nella grammatica.
   Piaceva ai miei scolari che io dessi nei loro componimenti molta importanza non solamente alla maniera come dicevan le cose, ma alle cose stesse che dicevano. Raccontano che un maestro, quando uscirono per la prima volta i Pretesi francesismi del Viani, desse in un pianto dirotto, e dicesse tra molti singhiozzi: — Che correggerò ora io più ai miei scolari? Questo si può dire, quest'altro va benissimo. Oramai è meglio scaraventare la