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Colledara
- aggiuntovi: Da Colledara a Firenze
Fedele Romani
R. Bemporad & Figlio, 1915, pagine 335

Digitalizzazione OCR e Pubblicazione
a cura di Federico Adamoli

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[ Testo della pagina elaborato con OCR ]

   uomo, una parola, uno sguardo, una gesta gloriosa e memoranda. E, a volte, mentre, assorto nei miei ricordi, m'aggiro tra questi simulacri, tra queste, gentili o severe, ma sempre mirabili forme dell'arte, a poco a poco rivedo, come nel rapimento d'un sogno che pare realtà, rivedo ripetersi in tutti i suoi particolari quei fotti ai quali l'anima mia ha assistito nella sua vita prodigiosa attraverso tante età e tanti secoli. Alessandro torna a entrare, sicuro e circospetto, nel profondo della notte nel suo palazzo di Via Larga: io vorrei chiamarlo e gridargli : — Alessandro, bada, non entrare, Lorenzino è traditore: egli ti ucciderà. — Ma la voce non esce, annodata nel petto. E Alessandro s'inoltra e si perde nel buio della porta. Poco dopo ascolto dalla strada un rumore di lotta feroce. Riconosco chiaramente la voce soffocata del duca: risuonano lunghi gemiti e tonfi; e poi silenzio.
   Fra Girolamo predica in San Marco. Io entro e mi fo strada tra la folla che assiepa la chiesa. La sua parola è folgore, la sua parola è tuono. Io ammiro quel profilo dell'uomo gagliardo e fermo nei propositi, quel naso che ricorda quello di Dante, quelle labbra rosseggienti e sensuali che contrastano con le parole severe a cui dan la via; ma sopra di esse domina imperioso l'occhio d'aquila grifagna. Che occhi, che sguardi io ho visti in quelle grandi anime dell'età trascorse! Chi può mai dimenticare lo sguardo di Dante, di Leonbattista Alberti, di Leonardo da Vinci?
   Il frate predica, grida, gestisce minaccioso. Non s'in-tendon tutte per la forza del dire le sue parole. Ma che importa capire? La sua vera parola sta nel gesto, nell'atteggiamento della persona, nell'accento di profonda sincerità e convinzione e nel suono della voce; voce maschia e soave: essa è tempesta e sorriso, essa conosce