le città della Basilicata, delle Calabrie, dell'Abruzzo, della Sardegna e della Sicilia mi appariva ora come necessaria, e voluta da qualche mio genio protettore perchè il mio spirito potesse più profondamente sentire la gioia di ritrovare il suo alveolo e la sua quiete. Prima io ero come una pianta fuori del suo clima e non potevo dare quei frutti di cui forse nel mio cervello fremeva, ansioso di sviluppo, l'intimo germe. Ora che il germe è nel suo proprio terreno, la sua virtù dovrà mostrarsi tutta intera, nella piena sua energia, in tutto lo splendore di cui essa è capace.
Certo in questo mio prodigioso ritorno non ritrovo tutta, quella Firenze che io ho abitata, conosciuta e amata in così lungo volgere di secoli. Quegli stessi gloriosi monumenti che furono la naturale espansione del suo rigoglio e della sua forza, a poco a poco furono la causa della sua rovina. Accade sempre così: una o più generazioni producono quelle maraviglie: le generazioni che seguono s'avvedono a poco a poco che esse, possedendo quei tesori che tutti ammirano, possono far di meno di lavorare: fabbricano alcune piccole capanne ai piedi di quei monumenti, circondano e chiudono i monumenti stessi e gridano come i ciarlatani nelle piazze: — Un soldo a chi vuol entrare, un soldo a chi vuol vedere; — e intanto nulla più fanno nè producono gl'ignavi eredi di quei gloriosi. Allo stesso modo le nazioni dopo un lungo periodo di vittorie e di trionfi decadono e muoiono, avvelenate da quello stesso oro procurato con tanta gloria.
Dove son più quelle schiere di artisti che io ho vedute vivere insieme tra queste mura? Una volta io vidi radunati alla stessa mensa Michelangelo, Botticelli, Leonardo....