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Contemplazione della morte

Gabriele D'Annunzio
Il Vittoriale degli Italiani, 1941, pagine 124

Digitalizzazione OCR e Pubblicazione
a cura di Federico Adamoli

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[ Testo della pagina elaborato con OCR ]

   Mio giovine amico, per quella foglia di lauro che mi coglieste su la fresca tomba di Barga pensando al mio lontano dolore, io vi mando questo libello dalla Landa oceanica, dove tante volte a sera il mio ricordo e il mio desiderio cercarono una simiglianza del paese di sabbia e di ragia disteso lungo il mar pisano.
   Ben so come profondamente nel vostro petto fedele voi custodiate la luce dell'ora in cui per la prima volta, sconosciuto e atteso, varcaste la soglia della casa, ch'io m'ebbi un tempo alla foce dell'Arno tra i ginepri arsicci e le paglie marine. Eravate quasi fanciullo, generosus puer, ebro di poesia, tremante di riconoscenza e d'amore; e la divina virtù dell'entusiasmo ardeva in voi così candidamente, ch'io mi credetti riveder me stesso giovinetto nell'atto di accostami a un puro spirito, ora esulato dalla terra, che molto amai e molto ascoltai.
   La casa era tanto prossima al frangente, che dalla fine» stra non si vedeva se non il flutto, come da un'alta prora. E mi piacque che intorno a quel nostro primo dialogo non paresse stagnare la quiete domestica, ma spirare quasi la libertà d'una navigazione avventurosa. Anchoras praecide. Credo che tal fosse il mio primo insegna' mento. E ci accomiatammo, secondo il costume di coloro che non si riposano su alcuna certezza o promessa, come se non dovessimo rivederci più mai.
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