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Contemplazione della morte

Gabriele D'Annunzio
Il Vittoriale degli Italiani, 1941, pagine 124

Digitalizzazione OCR e Pubblicazione
a cura di Federico Adamoli

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[ Testo della pagina elaborato con OCR ]

   Di lontano, non ebbi da voi se non sobrie testimo¦> nianze d'un amore sempre più forte e d'una fede sempre più tenace. Cosicché, pensando al prato sublime che sta tra il Camposanto e il Battistero, o alla funebre spiaggia tra il Sercbio e l'Arno, posso senza discordanza pen' sare a voi, prediletto tra i pochissimi che sanno amami come solo voglio essere amato.
   Ecco che riprendo in queste pagine una contemplazione già iniziata nella solitudine di quel Gombo, ove vidi in una sera di luglio approdare il corpo naufrago del Poeta che s'elesse Antigone, e vegliai la salma colcata a fianco della vergine regia, tra l'uno e l'altra sorgendo il fiore « inespugnabile » nomato pancrazio.
   Poi che non vai la possa della Vita a comprendere tanta bellezza, ecco la Morte che braccia più vaste possiede e silenzii più intenti e rapidità più sicura; ecco la Morte, e l'Arte che è la sua sorella eternale...
   Ma, di qua d'Arno, nella selva spessa che va sino al Calambrone, in un meriggio dello stesso luglio, portai il pensiero della fine su i miei piedi nudi come una fiera porta la sua fame o la sua vigilanza. Il dèmone del rischio
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