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Contemplazione della morte

Gabriele D'Annunzio
Il Vittoriale degli Italiani, 1941, pagine 124

Digitalizzazione OCR e Pubblicazione
a cura di Federico Adamoli

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[ Testo della pagina elaborato con OCR ]

   Un'allegoria è nascosta in ogni figura del mondo ; e giova, secondo la sentenza di san Gregorio, « lo inten' dimento delle allegorie ridurre ad esercizio di moralu tade ». Sotto il più alto fervore, sotto la più profonda conturbazione del mio spirito la mia ferinità persiste, o giovine amico. E voi comprenderete perché, tornando dall'aver contemplato in ginocchio la beatitudine del Cristiano sul letto candido, io abbia palpato inginocchio le mammelle numerose della Diana Efesia sotto la specie brutale.
   Or qual bellezza doveva essere in quel Santo, se pareva che la morte le convenisse!
   Bisogna credere che sempre e in ogni luogo lo spirito dell'uomo sia l'iddio verace dell'uomo, e che le imagini mitiche o incarnate della divinità non sieno se non i modi che conducono a riconoscere sol quello: sol quello che non si può nominare e a cui non si può disobbedire.
   Gran tempo io diffidai del Galileo come d'un nemico, per una provvidenza che nel nemico pone la salute del forte. Pur non temendo il « dio senza muscoli », non m'avvenne di guardarlo negli occhi. Nella prima gior' nata di questo Quatriduo si narra come il subito pianto del vecchio me lo facesse presente. Ora a volte Egli se ne va davanti me, cammina sopra queste acque cpme sopra il mar di Tiberiade. Ieri si presentò su la riva e mi disse: « Getta la rete ». E quel giovine dalla sindone che ora
   io