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Contemplazione della morte

Gabriele D'Annunzio
Il Vittoriale degli Italiani, 1941, pagine 124

Digitalizzazione OCR e Pubblicazione
a cura di Federico Adamoli

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[ Testo della pagina elaborato con OCR ]

   E non vacillerò mai dinanzi alla necessità del mio spirito e alla cicuta.
   E non farò mai sosta alle incrociate delle mie vie.
   E serberò fresca la vena inestinguibile del mio riso pur nella peggiore tristezza.
   E dico che l'elemento del mio dio è il futuro.
   E dico che ciò ch'io non sono, domani altri sarà per mia virtù.
   O giovine amico, ciascuno di questi pensieri non è se non il tema d'un inno, e non può esser condotto a compi> mento se non dal ritmo eroico. E credo avere accresciuto il numero delle mie corde dopo questi funerali, come il costruttore di città, avendo imparato la melodia dei Lidii nelle esequie fatte a Tantalo da essi Lidii, aggiunse tre corde alle quattro della lira.
   Ma pur saprei soffiare su ciascuno come il fanciullo su la lanugine del cardo argentino, per astringermi di considerare nella mia memoria quel poco di sole, che impallidiva su quel poco di paglia davanti alla porta del mio malato, e quel poco di vetro rotto che vi luceva come lacrime o rugiada.
   Il silenzio era un inno senza voce.
   Tale potrebbe essere allora il mio silenzio. Ma quegli che sale contro a me, dall'altro declivio, quando m'incoiu trerà e gitterà il suo grido?
   H