Tutto lo spazio era pieno di violenta morte, di beh Uzza torbida, e di non so che travagli, e di non so che presagi, come se il Futuro si chinasse dalla nuvola ferrw gigna a soffiaré sul viso il suo polline, ben più potente che il vivo solfo della Landa pinosa. E ci pareva d'entrare in ogni via come il soldato entra nella trincea, ed ogni via ci pareva chiusa come i vicoli ciechi, e ci pareva di sfondarla con la volontà senza gesto.
E un branco di bagasce, contro un muro infetto dalla lebbrosìa degli affissi, ci guatò di sotto ai grandi cappelli piumati, con qualcosa di selvaggio negli occhi pesti e nelle labbra dipinte, simili a menadi sfatte di un Dioniso tavernaio.
E più in là, dietro una vetrina piena di dolciumi stantii e di sciroppi inaciditi, scorgemmo la Parca Atropo.
E più in là, dentro una meschina bottega d'oriolaio, intravedemmo un Saturno barbato e scerpellato che man/ giava un lungo rocchio di salsiccia figliale, tra orologi morti e decomposti.
Come il mio compagno povero abitava nel sobborgo, per aspettare l'ora del treno entrammo in una botteguccia di caffè; e ci sedemmo l'uno accanto all'altro davanti a una lastra di marmo, su cui la traccia lasciata da una sottocoppa sporca disegnava il circolo dell'eternità. E il luogo ignobile s'empì del nostro tumulto inespresso, come una conca è piena di rombo oceanico che solo un orecchio aderente ode. E, quando il tavoleggiante accese sul nostro
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