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Contemplazione della morte

Gabriele D'Annunzio
Il Vittoriale degli Italiani, 1941, pagine 124

Digitalizzazione OCR e Pubblicazione
a cura di Federico Adamoli

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[ Testo della pagina elaborato con OCR ]

   capo il becco del gas, vidi la bocca del mio compagno simile alla bocca dei mutoli che vogliono parlare; e forse era piena della parola nuova, o forse soltanto di saliva angos sciosa. Eguardai anche quel chiarore su le stamani pallide, pensando al sasso di Tespia. E non mai ebbi così grande il sentimento d'un dio ignoto che divorasse un'anima gonfia.
   « Bisogna che ci separiamo e che poi ci ritroviamo ». Tornai indietro solo, verso la febbre notturna.
   E alzavo di tratto in trattogli occhi al volto indistinto che dalla nuvola si chinava verso me, come quelle strigi gotiche dalle gronde delle cattedrali.
   E, passando per una via angusta, di colpo la bertuccia d'un merciaiuolo ambulante mi saltò su le spalle. E tutto il lastrico sonò di risa e di motti plebei.
   E l'ingiuria lugubre dell'uomo dal capo forato era sospesa nel crepuscolo pregno d'una forza senza nome. Ma il mio compagno ventenne, traballando laggiù nel treno tardo, udiva forse Amfione preludiare sopra un ? mucchio di calcinacci.
   Ora bisogna che anche noi ci separiamo e poi ci ritro/ viamo, mio giovine amico. Addio.
   G. d'A.
   Dalle Lande, nel maggio del 1912.
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