Venerdì notte, cedendo alla svogliatezza prima/ verile, lasciai a mezzo la mia pagina, e mi misi a sfogliare qualche libro di figure. Mi venne fatto di scorrere la raccolta delle acqueforti pasco/ liane di Vico Vigano. Per confrontare il ritratto inciso del poeta con un'imagine d'esattezza fotografica, cercai il volume illustrato dell'Inno a Roma credendo che ci fosse. La memoria m'ingannava: non c'era. Ma mi soffermai su l'impronta dell'ascia sepolcrale romana; e rilessi i bellissimi esametri.
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Ascia, teque eadem magnae devovit in oris
omnibus Italiae, dein toto condidit orbe...
Anche una volta l'evocatore delle auguste fòrze scomparse aboliva nel mio spirito l'errore del tempo. Riconoscevo a quel dilatato respiro del mio sogno uno dei più alti suoi doni; perché certe sue evocazioni dell'antico si avvicinano ai** limiti della magia. Qualcosa di magico è nella potenza repentina onde un grande poeta s'impadronisce dell'anima nostra. A un tratto l'immensa notte oceanica s'empiva de' suoi fan/ tasmi. Il numero del suo verso si prolungava in una lontananza solenne, fin là dove la pa/ rola dell'inno vedico pareva la sua stessa eco
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