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Contemplazione della morte

Gabriele D'Annunzio
Il Vittoriale degli Italiani, 1941, pagine 124

Digitalizzazione OCR e Pubblicazione
a cura di Federico Adamoli

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[ Testo della pagina elaborato con OCR ]

   l'aspetto mortale del poeta. Non mi pareva di ritrovarlo nell'acquaforte dell'artista lombardo, pé sapevo dove cercarne un'imagine precisa. E, se chiudevo gli occhi e mi sforzavo di riconv porne le linee sul fondo buio, il volto indistinto si dissolveva in bagliori. Allora mi ricordai d'avergli detto un giorno: « Se tu avessi il viso tutto raso e se tu non sorridessi, somiglieresti a Piero de' Medici com'è scolpito da Mino ». Ma in verità egli non s'era mai lasciato guardare da me fisamente.
   La nostra amicizia soffriva d'una strana timi/ dezza che non potemmo mai vincere, perché i nostri incontri furono sempre troppo brevi. Era un'amicizia « di terra lontana » come IV more di Gianfré Rudel, e per ciò forse la più delicata e la più gentile che sia stata mai tra emuli. Si alimentava di messaggi e di piccoli doni.
   Da prima egli temeva che la sua rusticità e la sua parsimonia mi dispiacessero, come io temevo che gl'increscesse la mia diretta discen/ denza dalla brigata spendereccia. Egli forse pen/ sava che qual cosa di vero ci dovesse pur essere in fondo alle dicerie della cialtronaglia. Un giorno lo colpì la schiettezza del mio riso di/ nanzi a certe sue esitazioni; e allora gli parve
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