avevo se non un letto senza fusto, un piano' forte a coda, una panca da tenebre, il gesso del Torso di Belvedere, e la gioia del respirar grandemente.
Come Adolfo spinse alla soglia il poeta delle Myricae e mi chiamò al soccorso, balzai mezzo vestito. E due confusioni si abbraccia' rono senza guardarsi. L'ingannatore rideva nel vederci così vergognosi mentre tuttavia ci tene vamo per mano. Poi ci sedemmo su la panca, felici, senza far molte parole, nessuno di noi temendo il silenzio che è sì soave quando il cuore si colma.
Eravamo sani e resistenti entrambi, sentivamo la nostra purità nel divino amore della poesia, preparati alla disciplina e alla solitudine. L'uno promettendo di superar l'altro, eravamo certi di non iscoprir mai su i nostri volti « il livido color della petraia ». Una potenza oscura si accumu' lava nelle nostre profondità: egli doveva ancora comporre i Poemi conviviali e io dovevo ancora cantare le Laudi.
O bel mattino in sul principio della state, quando Roma ha gli occhi chiari di Minerva che nutre a sua simiglianzai pensieri degli uomini! Entrava il sole pe' cancelli delle finestre, e il romore del ponte frequente, che pareva l'antico
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