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Contemplazione della morte

Gabriele D'Annunzio
Il Vittoriale degli Italiani, 1941, pagine 124

Digitalizzazione OCR e Pubblicazione
a cura di Federico Adamoli

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[ Testo della pagina elaborato con OCR ]

   « assiduo murmurc » del Tevere. Ma il fiume sacro non aveva parlato ancora a traverso il bronzo dell'inno, non aveva ancor chiamato l'anima dei forti gridando:
   Heus, rostro navis qui terram scinditis urico,. quam detraxistis naviiam reddite proram atque in me longos infindite vomere sulcos usque ad cceruleum, iuvenes, maris aequor, et ultra. Est operae !
   La grandiositą del Torso erculeo bastava a riempiere le mie mura; perché era quel ter/ ribile frammento titanico presso cui Miche/ langelo decrepito e quasi cieco si faceva con/ durre per palparlo. (Or potevan dunque le sue mani toccare un marmo senza riscolpirlo intero?) Avevamo dinanzi ai nostri occhi un esemplare sovrano e quasi direi il cąnone eroico; ma ignoravo quale di noi due ne fosse tocco pił a dentro. Se avessimo potuto saperlo, forse avremmo conosciuto la nostra misura.
   Come gli guardai le mani, delle quali sono sempre curioso, egli le ritrasse con un atto quasi fanciullesco. Io volevo osservare le dita che ave/ vano foggiato l'odierna per le due sorelle e i
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