Stai consultando: ' Contemplazione della morte ', Gabriele D'Annunzio

   

Pagina (29/119)       Pagina_Precedente Pagina_Successiva Indice Copertina      Pagina


Pagina (29/119)       Pagina_Precedente Pagina_Successiva Indice Copertina




Contemplazione della morte

Gabriele D'Annunzio
Il Vittoriale degli Italiani, 1941, pagine 124

Digitalizzazione OCR e Pubblicazione
a cura di Federico Adamoli

Aderisci al progetto!

   
[Home Page]




[ Testo della pagina elaborato con OCR ]

   Salii dunque all'Osservanza con qualche fiore. Ero così pieno di pensieri, che non ritrovo nella memoria l'aspetto delle cose, perché le guardai con occhio disattento. Non entravo in una casa ma in un'anima che pareva volersi fare per me ancor più bella. Se la vita non mi avesse dato altro che quell'alta ora di amicizia, pur la stime/ rei generosa e mi direi contento d'aver vissuto in mezzo agii uomini.
   Della nostra timidezza non si mostrò se non un'ombra, sul principio, quando, guardandolo io, egli mosse il capo in non so qual modo sfug/ gente e batté le palpebre, come per cancellare la lesione crudele degli anni e spandere sul suo volto appesito gli spiriti alacri dell'amore. Volevo dirgli: « Non ti peritare, fratello. Vedi quanto anch'io sono leso. Ma oggi la carne miserabile non e'in/ gombra, e io qui respiro la più pura essenza della tua poesia. Tu hai l'aspetto della tua for2a immor/ tale, e non è fatto dalle tue labbra il sorriso della tua tristezza. Siediti ancora accanto a me, come quella volta su la panca da tenebre. Siamo due pazienti artieri. Quanto abbiamo travagliato e quanto sopportato, da quel mattino di Roma ! Non tentò taluno di far verghe de' miei allori per batterti, flagelli de' tuoi lauri per flagellarmi?
   34