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Contemplazione della morte

Gabriele D'Annunzio
Il Vittoriale degli Italiani, 1941, pagine 124

Digitalizzazione OCR e Pubblicazione
a cura di Federico Adamoli

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[ Testo della pagina elaborato con OCR ]

   di quelle sere emiliane, umide e cinericce, che sembrano generarsi laggiù, tra la foce del Reno e la bocca del Po di Goro, nella grande palude salmastra. Soffiava su noi un vento ambiguo, che pareva dolco e poi a un tratto ci dava il bri' fedo con una folata fredda. La vettura m'atten' deva poco discosto, coperta e nera, con i due cavalli che mal reggevano la lor fatica su le gambe arcate. Non parlavamo più. C'era intorno a noi una specie di silenzio soffice.
   E c'era appena, qua e là, lo strano
   vocìo di gridi piccoli e selvaggi...
   Ma udivamo anche lé nostre peste « né vicine né lontane ». L'uno chiamò il nome dell'altro nell'addio. Ci abbracciammo. Come sul viale il vento rinforzava ed egli pareva infreddolito den' tro il bavero, gli dissi: « VaJ vaj rientra. Non restar .qui ». Si voltò per andare; e i cavalli avevan messo le radici, tanto stentarono a muoversi. Sicché ebbi tempo di seguirlo con lo sguardo e I con l'angoscia fino alla porta. Ed ecco, lo stesso , silenzio repentino della umile stanza mi serrò il capo nello stesso ghiaccio trasparente. E, come ! egli fu alla soglia, si voltò ancora e levò il braccio j verso me a risalutarmi. Da quel fagotto di panni ì
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