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Contemplazione della morte

Gabriele D'Annunzio
Il Vittoriale degli Italiani, 1941, pagine 124

Digitalizzazione OCR e Pubblicazione
a cura di Federico Adamoli

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[ Testo della pagina elaborato con OCR ]

   stracchi s'alzò il braccio possente che su per l'erta aveva brandito la « piccozza d'acciar ceruleo ».
   Una voce d'eroe, quella voce omerica ch'egli aveva tradotto con sì rude efficacia, mi scoppiò dentro e franse il gelo.
   Datosi un colpo nel petto, al suo cuore drizzò la parola: — Cuore, sopporta! ben altro tu hai sopportato più cane!
   E non per me, ma per lui. Vedevo, come quel braccio levato, sorgere dall'intimo di quell'uomo casalingo e cauteloso la costanza d'una virtù virile, la durezza d'una vita fatta di disciplina, di coraggio e di dominato dolore. Il suo orgoglio s'era formato a poco a poco nel fondo della sua solitudine come il diamante nell'oscurità della terra. « Da me, da solo, solo con l'anima... » Egli s'era fatto degno d'incontrarsi con Achille e con Elena, e di parlare su la tomba terribile di Dante.
   A.ncora non so come sia trapassato; ma voglio esser certo che, s'egli talvolta nella vita pianse in disparte, non si velò di lacrime nel fisare la morte. Forse esci dalla sua bocca qualche bella e semplice parola, prima che la lingua gli si
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