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Contemplazione della morte

Gabriele D'Annunzio
Il Vittoriale degli Italiani, 1941, pagine 124

Digitalizzazione OCR e Pubblicazione
a cura di Federico Adamoli

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   XI APRILE MCMXII
   Non so se nella vertigine d'ombra, quando tutto ritorna per poi dileguarsi, io gli sia apparito.
   Sembra che le cose obliate e gli esseri più lon/ tani e gli eventi più remoti e perfino i frantumi dei non interpretati sogni abbiano grazia nell'ago/ nia dell'uomo. Se questo è vero, forse il fiore della mia amicizia ondeggiò nel suo crepuscolo come quel tenue ramo ch'io colsi e curvai per lui tra l'Alpe e il Mare, o forse come quel salso giglio della solitudine che pensando ad Antigone io mandai alla sua sorella immacolata.
   Un'accelerazione della sorte volle ch'io l'assi/ stessi con lo spirito nelle sue ultime ore fino al suo transito.
   La notte del venerdì, m'ero beato della sua poesia e l'avevo imaginato convalescente. La mat/ tina ch'è innanzi al Resurresso, mentre mi dispo/ nevo all'opera, ebbi d'improvviso l'annunzio funebre. Qualcuno, dalla patria, mi chiedeva una parola per la morte del poeta! E il poeta non era spirato ancora, anzi aveva ancora da superare un lungo patimento. Ma l'inopportuno, pur violando la gentilezza umana, secondava una
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