- 11 —
Eppure, — non ridete, che ve ne darò subito la prova, — eppure c'è n'è più d'una ! Sissignori !
Apriamo infatti il libro del Maestro, come lo chiama l'A-scoli, vale a dire la Grammatica del Die%.
Ecco che cosa vi troviamo — I Valacchi, appunto come i Teramani, fanno subire l'apocope agli infiniti ed accentano la vocale rimasta finale, quando i verbi sono della i* e della 3" coniugazione, p. es. Cuntd, Au%i invece di Cuntare, Aulire; quando poi sono della 2a coniugazione, la finale non viene accentata, p. es. Face invece di -Facere (i).
Nella lingua Valacca, come nel dialetto Teramano, manca il futuro, e questo viene supplito dall'unione dell'infinito del verbo che si coniuga con un verbo che esprime il futuro, e questo verbo non è già Habere ma Velie, p. es. Voiu cuntà (volo cantare") (2).
In ambedue essi manca il participio presente (3).
Come noi, quelli non posseggono di modi d'interpellare che il solo pronome Tu, ed anche agli imperatori, proprio come faremmo noi se ce li avessimo, dicono — Merla td (tua Maestà) (4).
Tengono essi ancora per pronomen reverentiae il corrispondente dell'Italiano Vossignoria, cioè Dumniatà, il nostro 'Ssigniri, e costruiscono con questo il verbo non in terza persona singolare, ma in seconda, appunto come facciamo noi; onde essi dicono: Unde ai fost dumniatà ? che secondo il Diez si traduce letteralmente: Ubi fuisti dominatio tua ? il nostro Duv' M Itàte 'ssigniri ? (5).
Ed altra affinità tra noi ed i Valacchi è il costruire col dativo alcuni verbi che il Toscano invece costruisce coli' accusa-
(1) Tom. II, pag. 241.
(2) Ivi.
(3) Pag- 243.
(4) Tom. Ili, pag. 50.
(5) Ivi, pag. 54.