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gli altri dialetti latini, e mantenne perciò intatti i suoi suoni, le sue forme e le sue voci. Chiara prova ne è il non ritenere noi quasi nessuna delle voci germaniche, che pure son passate nella lingua generale italiana (i).
Cessate infine le occupazioni barbariche, e cominciatesi a formare le nazioni e con esse le lingue, il nostro dialetto cominciò ancor esso a subire influenze straniere, sempre però della sua stessa famiglia, oltre quelle della stessa penisola. , E per una ragione o per l'altra, ne subì parecchie.
Ne subì dalla Francia, sulle cui importazioni io vorrei distinguere quelle anteriori alla divisione, o meglio ali' annullamento dell'impero Romano, quali sarebbero le affinità morfo-logiche, le sintattiche e varie delle lessicali, come Bagna, Ar-frisà, Rùhe, Abbuffa, eco., queste io non chiamerei importazioni, — e quelle lasciateci dalle occupazioni militari francesi, o peggio dagli indigeni infranciosatisi nella lettura dei libri di quella nazione comunicate al nostro popolo, così proclive all'imitazione sopratutto delle classi a lui superiori.
N'ebbe dalla Spagna; e ne doveva avere per la sì lunga servitù sotto cui quella nazione ci tenne oppressi. Ed anche qui farei la stessa distinzione fatta per le importazioni francesi. Queste varie affinità vedremo nel Saggio di Grammatica.
Questo per le nazioni neo-latine, con cui noi avemmo contatto. — Per l'influenze poi subite dagli altri dialetti italiani, noterò tre di essi aver più degli altri esercitate influenze notevoli sul nostro vernacolo. Primo fra tutti il Napoletano — poi il Marchegiano — ed ultimo il Romano. Non parlo degli altri dialetti abruzzesi, perché è cosa chiara per sé; e neppure del Toscano, sulle cui affinità col nostro dialetto versò tutto intero quel mio povero studio, che intitolai: — Osserva-ecc.
(i) Cf. DIEZ, op. cit., tom. I, pag. 55-66.