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HATRIA = ATRI

Dr. Luigi Sorricchio
Tipografia del Senato Roma , 1911, pagine 324

Digitalizzazione OCR e Pubblicazione
a cura di Federico Adamoli

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   280 LIBRO V - CIVILTÀ E COLTURA ATRI ANO-ROMAN A
   fu il miglior vanto dei Sabini: Hanc olim veteres vitam co-liicre Sabini (Virgilio, Georgiche, lib. II, v. 582).
   L'arte agraria andò man mano perfezionandosi tra i Sa-belli a preferenza di ogni altra regione d'Italia per la persistenza della media proprietà, quando sul fluire della Repubblica dovunque il latifondo immiseriva le genti e distruggeva le più proficue coltivazioni.1 Al che, passato il primo periodo dell' espropriazione forzata e della limitazione dei campi, noi crediamo che in Atri abbia più giovato che nuociuto l'occupazione coloniale colle conseguenti assegnazioni, poiché imponeva una maggiore intensiva coltura delle terre. Che 1' agro atriano castrense o romano-latino del Pretuzzio insieme al territorio atriano propriamente detto fosse fertile,
   10 sappiamo da più di uno scrittore. Ma può bastare per tutti Polibio che lo chiama opulenta e fertile provincia, e la stima che ne fece Annibale per ristorare le sue milizie ed i suoi cavalli coi vecchi vini, dei quali era grandissima abbondanza. Annibale era sceso e s'era fermato alla spiaggia, e di questa intende parlare Polibio. Per la parte montuosa, occidentale della colonia abbiamo da riprendere i gromatici, i quali nel libro delle colonie, ci parlano di archi, di macerie, di corrosioni e di canali dandoci 1' aspetto d' una campagna boschiva e ricca di pascoli. La coltivazione doveva quindi procedere di pari passo colla pastorizia, sempre largamente esercitata. Conformemente a ciò le principali colture saranno state in principio la spelta o farro e più tardi
   11 frumento (triticum), la fava, la vite, l'olivo, il fico, gli ortaggi ; il pino, il faggio, 1' abete, la quercia, i prati naturali ricoprivano le pendici dei monti, la maggior parte del territorio. Il grano coltivato certamente all' uso romano, ossia un anno si ed un anno no e più tardi con due anni di semina ed uno di riposo, poteva appena bastare all' alimento locale; non è da pensare che se ne potesse esportare; il che
   i Cfr. Mommsen, St. Roma, III, lib. V, cap. XI.