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HATRIA = ATRI

Dr. Luigi Sorricchio
Tipografia del Senato Roma , 1911, pagine 324

Digitalizzazione OCR e Pubblicazione
a cura di Federico Adamoli

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   304 LIBRO V - CIVILTÀ E COLTURA ATRI ANO-ROMAN A
   formemente da Cicerone (prò lege Manillkì), da Plutarco (in Lucullo, 17), da Dione (lib. 35-9), da Appiano (Bell. Mithr., 88).
   I due eserciti, il 'mitridatico ed il romano, erano di fronte a Cabir a (Nihsar), sui monti tra il Ponto e 1' Armenia, entrambi bisognosi di vettovaglie, che i Romani attendevano dalla Cappadocia. Accortosi M. Fabio Atriano di una imboscata che i nemici gli tendevano per impadronirsi dei carriaggi e trucidare la scorta nel passaggio di una stretta gola, prese co' suoi rapidamente le alture, dalle quali piombò con tanto vigore sul nemico che 1' annientò interamente, parte degli uomini uccidendo e parte precipitando dai dirupi. L'effetto del felice episodio fu tale che questo si ridusse ad una vera vittoria romana, poiché il grosso dell' esercito del Ponto, con Mitridate stesso alla testa, atterrito, si diede alla fuga.
   II re stesso, perduto il cavallo, stava per cadere prigioniero di Fabio, se 1' astutissimo uomo, fidando sulla cupidigia romana, non avesse seminato sul suo passaggio oro e suppellettili preziose. Fermatisi i Romani a raccogliere le sue spoglie, egli potè salvarsi. Questo accadeva 1' anno 685 d. R. Ma 1' anno appresso Mitridate si rifece cogli aiuti di suo genero Tigrane, battendo Fabio e Triario presso Zeta. Pare che Fabio sia rimasto ucciso nello scontro.
   Quinto. — Costui, forse fratello del precedente, ed al certo parente, ci è noto per la sua pessima fama e per r atroce fine, nell' invettiva di Cicerone (in Ver rem, 1. 27, 70) che augurava un simile castigo a Verre, reo di uguali delitti.
   Quinto Fabio Atriano, legato di Cinna e pretore in Africa, commise tali enormi concussioni, violenze ed arbitrii, che i Romani stessi che colà erano, timorosi anche di lor vita e di loro sostanze, ne deliberarono la morte per propiziarsi gli spogliati e gli avversarii, e 1' eseguirono bruciandolo vivo entro il pretorio d'Utica insieme ai tesori sì malamente acquistati. Parve tanto giustificata l'illegittima esecuzione capitale che non ne fu promosso giudizio. Questo dice Cicerone, e