418
GIUSEPPI DEVttfCENM
di cui, oltre della 9toria, ne fan chiara prova tanti stupendi monumenti che per ogni dove ammiriamo.
La ricchezza acquistata col lavoro costituiva la nobiltà dei nostri maggiori; e la loro grande influenza sulle moltitudini, in tempi certo di grandi libertà, non derivò che dall'eccellenza in cui vennero nelle industrie e nei commerci. Sebbene dunque molto abbiamo da imparare da altri, che per lo passato tanto impararono da noi, moltissimo, e più, abbiamo da imparare da noi stessi, dai nostri padri. E fu la infausta dominazione straniera che snervò, infiacchì e snaturò l'energica intelligenza dell'animo italiano, fu essa che ne sviò dal lavoro e che persuase l'universale che la nobiltà non fosse che sinonimo dell'ozio e dell'ignavia e che altra missione non avessero i grandi possessori delle terre che di consumare le loro rendite. E questi sciaguratamente non solo consumarono le rendite, ma credendo di consumare le rendite, che sempre sminuivano, consumarono anche i capitali, gettando nella miseria e nell'abbiezione illustri casati venuti in fama per la virtù del lavoro e per i servigi resi alla patria. Quelli per altro furono tempi di schiavitù; e triste mezzo di schiavitù era di ammiserire le popolazioni e di spegnere ogni potenza d'individuo e di famiglia. Ma ora che l'Italia è tornata indipendente e libera, ora che dopo aver compiuto la nostra redenzione politica è nostro debito compiere la nostra rigenerazione economica, senza di cui quella non troverebbe alcuna base, dobbiamo ad alta voce ripetere a tutti, ed in special modo a coloro, che per l'agiatezza della loro vita costituiscono, o a dir meglio debbono costituire le classi dirigenti della società: Riprendiamo la nobiltà dei nostri spiriti, l'arditezza dei nostri animi; ci torni in mente ciò che fummo nell'antica civiltà, che operammo al primo riapparire della civiltà moderna: lavoriamo, lavoriamo, lavoriamo. In queste ultime parole sta tutto l'avvenire d'Italia. Abbiamo ricchezze iufinite da svolgere; niun popolo può più facilmente conquistare il benessere che l'italiano; non vi ha prezioso prodotto che la nostra terra non possa darci; ma la nostra terra quasi per ogni dove attende il coltivatore, e questi coltivatori debbono