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Della Storia di Teramo.
Dialoghi sette
Mutio deì Mutij
Tip. del Corriere Abruzzese, 1893, pagine 356

Digitalizzazione OCR e Pubblicazione
a cura di Federico Adamoli

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Si ringrazia Fausto Eugeni per aver messo
a disposizione la copia del volume.

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   cali l'anno l'entrate delle gabbelie, per censo dei sopradetti venti mila docati, che restavano a complimento dei quaranta mila, con patto di ricomprarseli ad ogni futuro tempo in tutto, o in parte, perchè il pagamento non fosse meno di cinque, o tre mila docati per volta. E dall'altra parte dell'Imperatore reintegrava la Città nella pristina libertà di demanio, con farla franca dei pagamenti fiscali ordinarj, e straordinarj, e con facoltà di eliggere il Capilanio al governo della Città, da confermarsi perù da lui, o dal suo Viceré del Regno, e dippiù concedea indulto generale per qualsivoglia delitto a tutti gli uomini di Teramo, e suo contado.
   Rob. Grande veramente, ed obbligo stretto fu questo. Furono poi pagati in si breve tempo i venti mila docati?
   Giul. I cittadini di quel tempo fecero, come sogliono fare i debitori impotenti li quali sempre sperano, che nella prolungazione del tempo occorre qualche accidente in loro favore. Era tanta, e sifatta la tema generata nei petti dei teramani, d'esser dominati dal Duca d'Atri, che quando seppero, ch'era accettato dall'Imperatore l'offerta della ricompra, parse loro di rinascere di nuovo, facendo poco conto dell'obbligo grande, con speranza di ottenere fra quel mezzo per grazia di Sua .Maestà o scemamento di quantità, o prorogazione di tempo a pagare si gran somma, siccome poi avvenne. Perciò che furono mandati in Spagna Fra Serafino Surrentino, e Gabriele di Veccia, teologi dell'ordine de minori oss., e cittadini di questo luogo (benché le loro strirpe nei maschi oggi siano del tutto estinte) i quali per dimostrare non esser vero, che la Città era disabitata, portarono il suo ritratto di bella mano in un panno, che il mostrarono all'Imperatore, quando furono alla sua presenza, perciocché per mezzo del suo confessore ebbero più volte pubblica, e secreta udienza e grate accoglienze. Ma non riportarono quelle grazie, che s'avevano immaginate, e speravano di ottenere. Ma solo se ne vennero con un rescritto in piede di una supplica dirizzato a I). Carlo de la Noy accompagnato con una lettera di lunga diceria scritta in idioma Spagnolo, che fin ad ora si conserva nell'archivio più segreto della Città, la cui copia tengo appresso di me.
   Rob. Che credete voi, che speravano d'ottenere quei religiosi?
   Giul. La totale remissione dei venti mila docati.
   Rob. Fu d'alcun giovamento l'andata loro?

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