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Della Storia di Teramo.
Dialoghi sette
Mutio deì Mutij
Tip. del Corriere Abruzzese, 1893, pagine 356

Digitalizzazione OCR e Pubblicazione
a cura di Federico Adamoli

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Si ringrazia Fausto Eugeni per aver messo
a disposizione la copia del volume.

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   vi entrò Fabrizio Erancio nuovo Viceré della Provincia, cbe similmente furono ricevuti con trionfi, e feste, siccome altre volte nei nuovi ingressi dei Vescovi suoi, avete veduto. Il resto dell'anno si passò in continua quiete, pace, ed abbondanza. L'anno seguente 44 furono alquanto travagliati i cittadini dal Mastro Portolano in far buttare a terra le scalate, ch'erano per le strade, e le trasanne, ed i Gaflli, ch'erano nella piazza sopra le botteghe, ed alcuno nelle strade, e se con destrezza dai Signori del Reggimento non si fosse avuto ricorso a S. E., avrebbe fatto assai peggio. L'Agosto, ed il Settembre di detto anno le genti furono molestate da certe febri maligne dette mal mazzocco, che tolsero molti di vita, tra quali fu il genitor mio, che ai 4 di Settembre, d'età danni trentanove passò all'altra vita, standosi similmente in abbondanza, e pace, furono fatti molti nuovi parentadi tra i cittadini principali, facendosi sun-tuosamente pubbliche nozze, durando Corte bandita quindici giorni. E non devo (perchè merita esser raccontato) lasciar indietro il bell'ordine, e modo, che si tenea nei sponsalizii a quel tempo, anzi per molti anni poi, poicchè per lo più si facevano nel mese di Gennaro avanti la Settuagesirna. E non son passati dieci giorni, che mi fu raccontato, che solo in una domenica del detto mese di Gennaro 1515 furono solennemente sposate dodici donne. Numero per certo che in questi nostri tempi non sarà in un anno intiero. Or venendo a narrar l'ordine, che si tenea, dico, che la domenica mattina deputata allo sponsalizio, andavano i parenti dello sposo uomini e donne a casa della sposa, trovandola alla porta dell'entrata, che il padre, s'era vivo, o il fratello maggiore la tenea per mano, e la consegnava allo sposo, trovandosi ivi apparecchiato un baldacchino portato da sei servitori delle nozze, e subito lo sposo porgea por mano sua moglie al governatore della Città, che tenendo colla sua mano destra la sinistra della sposa, la conducea alla Chiesa Cate-drale, ed entrando dalla porta maggiore, primieramente ascoltavano la messa nella Cappella di S. Berardo, che a quel tempo era sotto l'arco della secrestia vecchia contigua, e chiusa con ferrate, stando inginocchiati insieme giunti lo sposo, e la sposa con due fagoli di cera accesi nelle mani. Finita la messa il Parroco, o altri da lui eletto pubblicamente col bacio, coll'anello, e colle solite funzioni li sposavano. Usciti >i di Chiesa il Governatore sotto il baldacchino

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