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Della Storia di Teramo.
Dialoghi sette
Mutio deì Mutij
Tip. del Corriere Abruzzese, 1893, pagine 356

Digitalizzazione OCR e Pubblicazione
a cura di Federico Adamoli

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Si ringrazia Fausto Eugeni per aver messo
a disposizione la copia del volume.

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   di starsi in paco, durando il suo ufficio, il che fu inviolabilmente
   osservalo.
   Rob. Avete poco prima cominciato a dire delle inimicizie, ch'ebbero principio nella Città nell'anno 1549, ma ve ne siete passato assai brevemente, anzi mi pare, che non avete detto cosa alcuna. Di grazia raccontatemi (il filo quel che fu la cagione, e lutto il successo fin al far delle paci, sebben da alcuni l'ho udito ragionare non tutti li raccontano di un modo, essendo in alcune cose tra loro discordanti.
   Giul. Io le racconterei volentieri, e con verità, avendo in memoria tutti i successi da principio fin al fine, ma questo non è luogo nè tempo, fa si, che un'altra volta ad altro proposito vi sodisfarò. (1) Per oggi vi vò dir solo, che si furono uccisi in cinque anni, che durarono dette inimicizie cento, e più persone tra Cittadini principali, meri principali, e forestieri.
   Rob. In che modo tanto numero?
   . Giul. Agli aguadi, all'improvviso, incontrature, alle scaramucce dentro, e fuori della Città, ed agli assedii, ed incendii delle case. Il numero di cento morti a voi par grande, ma se sapeste, come
   10 so, quante volte scaramucciarono, quanti furono alla stretta con
   11 pugnali in mano, quanti si erano mossi con intenzione di far giornata, essendo il più delle volte trecento uomini per parte, che poi per menoma, ed impensata cagione non si poterono incontrare, il riputareste numero pochissimo. E ciò si ha da attribuire solo alla divina bontà perchè sebbene gli uomini avevano le intenzioni e le bocche piene di sangue dei nemici, le donne dell'una e dell'altra fazione (non tenendosi la parola, ma salutandosi, e consolandosi l'una coll'altra) frequentavano si divotamente, ed assiduamente le Chiese, ed ivi con lacrime, e sospiri si raccomandavano alla Maestà divina che furono bastanti (se ciò è lecito dire) a ritenere Iddìo, che non sfocasse l'ira sua contro gli uomini loro. Finalmente il Marzo del 1559 por ordine del Viceré del Regno con lettere pregato, e sollecitato da Monsignor Giacomo Sìlverio Piccolominì (che sia in grazia) nostro Vescovo, essendo governatore di queste pro-
   (1) Promessa di un altro dialogo od opera, ma soproggiunto da morte non fece nè l'uno nè l'altra.

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