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tare ai beccai di tenere sui bulichi o appose alle stanghe le pelli fetide e pelose (IV, llii).
Da ultimo riguardo agli Etnei, vieiavasi ai macellai ed a tutti i cittadini il vendere o il far vendere ad essi, abitanti a Teramo o fuori, le rami bovine e pecorine (IV, 1 (ìO). Di carni suine non parla.M. perché la leggo mosaica vietava loro di toccarle: ilei resto di questa nazione abbiamo già discorso nella l'urte Jlf amministrativa, a cui rimandiamo il lettore.
Testatori. — Del pesce abbiamo già detto più indietro nella vendita de'commestibili : riguardo poi ai pescatori, gli Statuti ne parlano soltanto, allorché stabiliscono che essi dovevano rientrare in città prima del terzo suono della campana (IV, T2 t), cioè probabilmente a due ore di notte, siccome dicemmo nella Parte IV etieu, ragionando del suono delle campane. Quest' ora si tarda ci mostra che qui trattasi di pesca ne' fiumi che lambiscono le mura della città, insegnandoci così che anche l'arte della pesca viveva allora: la quale dovette poi cessare quando la sicurezza de' lidi adriatici, non più infestati dai pirati, e la costruzione delle strade di accesso al mare, agevolarono il trasporto del pesce marino a Teramo.
Tavernai (Tubernarii).— Questi si occupavano, siccome tuttora sotto lo stesso nome si occupano, della vendita del vino a minuto. Dell'introduzione e della vendita in grosso di questo dicemmo già in questa stessa Parte, alla vendita delle derrate. In quanto alla vendita del vino a minuto, gli Statuti stabilivano che i tavernai, che la facevano, orali tenuti ad averne la licenza e affiggere poi il prezzo, segnato in un cartello (apotissa), alla botte, il (piale era a pelilo, misura forse corrispondente alla caraffa.' Doveano essi pure
V. il pelilo in questa l'urie n al capitolo dello misure.