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Sugli statuti teramani del 1440

Francesco Savini
Tipografia di G. Barbera Firenze, 1889, pagine 238

Digitalizzazione OCR e Pubblicazione
a cura di Federico Adamoli

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   Il A VITA TERAMANA NEL SECOLO XV. 211
   del 1 ucco del tempo come ci farebbe sospettare il cappuccio clic portava (IV, 127): certo egli non indossava abiti a divisa, giacché questa, seguo funesto delle allora tacenti fazioni, era severamente interdetta (I, 62). Entra nella loggia inferiore del civile Palagio, ove rac-cfiglievasi .noi secolo XV il Parlamento (IV, 24), e poco stante sale tutto grave in bigoncia e, sostenuta una sua savia proposta senza divagare in cose inutili o scagliar motti agli astanti, ne scende e va a gettare nel bossolo segretamente la sua pallottola (I, 24). Ripresasi la discussione, è pronto a parteciparvi ; se non che, riguardando questa troppo da vicino il fatto suo, egli, fedele alle leggi patrie (1,47), recede dal primitivo propesilo e, abbandonando {pici luogo, monta nella sala superiore. Qui si aduna il Consiglio de' 36 (I, 24), di cui esso fa parte ed alle cui sedute non manca inai, non per teina di pagar la multa di 12 denari, ina per zelo do' suoi doveri e del bene pubblico. In mezzo a quella sala voggiamo il banco, ove siedono il Giudice delle cause civili ed i Sei Signori del Reggimento che insieme compongono il Magistrato: seguono i banchi de' Consiglieri, tra cui il nostro si distingue per pratica di affari e per prudenza di parola. Egli e quindi tra quei tre che soli possono discorrere su ciascuna materia, già approntata dal Giudice : e, parco nel dire coni' egli è, cessa tosto, perchè si venga alla importante e segreta votazione che segue nello stesso modo osservato per quella del Parlamento. Si tratta di scegliere, tra i migliori e più agiati padri di famiglia, i duecento destinati a far parte di esso Parlamento, ed egli con gli altri colleglli compio coscienziosamente la sua scelta. Si guarda poi, non pensando punto alla pena per ciò stabilita, dal lasciar la sala prima della fino della seduta e molto più dal rivelare le segrete cose passatesi nel Consiglio (IV, 24).