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Sugli statuti teramani del 1440

Francesco Savini
Tipografia di G. Barbera Firenze, 1889, pagine 238

Digitalizzazione OCR e Pubblicazione
a cura di Federico Adamoli

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   LA vita TKRAMANA NEL skcoi.o xv. 215
   ciano i nobili fra noi, non aveano alcun diritto spedalo noi governo della cittą, ma solo godevano alcune immunitą, per sč stessi e pe' loro vassalli accordate dal Comune per compensarli dell'aver abbandonato co' servi gli aviti castelli ed esserne discesi a crescer Teramo ili abitanti. K noi ci immaginiamo uno di tali gentiluomini, tutto chiuso nell'anni, procedere altero per le vie. eppure al bisogno non isdegnare di chieder giustizia al popolo nella persona del costui Giudice contro quel de' suoi vassalli clic non osservava i patti stretti con sč. Nņ meno sicuro del l'atto suo e fiducioso della cittadina giustizia scorgiamo presentarsi a quel seggio 1' umile vassallo, a cui avesse l'atto torto l'orgoglioso signore (IV, 2). Ed il Magistrato, fedele al compito suo, facon giustizia a tutti ed inoltre, osservatore de' patti, pagava esattamente al nobile sulle multe riscosse dal condannato vassallo quella parte che a lui spettava (I, 20).
   Pił potente ancora del ceto nobile era in quel tempo quello chiericalo, e. specialmente in Teramo, ove il Vescovo godeva tuttora, avanzo dell' antico dominio, la supremazia sulla potestą comunale. Accostiamoci un momento al Palazzo del medesimo, che, quasi a segno dell' antica potenza, vergiamo sorgere in mezzo alla cittą e torreggiare sulle due piazze. Nella sala maggiore, circondato dalla sua Corte siede il Prelato e accoglie il magistrato comunale che sii presenta il bel Codice dogli Statuti per la necessaria approvazione (I, 23). Tornato nelle, sue stanze sottoscrive, lo nomine dei Giudici a contratti (li, 15), singoiar privilegio del Vescovo aprutino,1 e riceve, il Camarlingo del Comune che consegna a lui, supremo signore, la parte dovutagli delle pene pecuniarie riscosse ne'giudizi (1, 20 ;V, 11). Del