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a cura di Federico Adamoli Aderisci al progetto!
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Fu il primo carme che improvviso sciolsi II primo carme che una nuova via Schiuse a la speme che nel petto accolsi Siccome raggio che di ciel venia. Da quel giorno mai più gli occhi non volsi Dall'alto segno che toccare ambia; E, qual donò del ciel, serbai gelosa Quella che m'ispirò vivida rosa.
Pur di bellezza quasi a me sembrare Privi quei fior, quando col core oppresso Da un senso di piacer sentito e raro Un altro pegno a lor posai d'appresso. Dir quanto e come io l'ho diletto e caro Al debol verso mio non è concesso; Che mal si puote in misurati detti Versar la piena d'irrompenti affetti.
~Dal fervid'estro fuor di me rapita, Quasi da un velo ricoperti i rai, Tolsi una sera in man la cetra, e ardita, Siccome il core mi dettò, cantai. Che dicessi noi so... bianco vestita, Segno di mille sguardi io mi trovai, E tra' plausi cortesi il suolo scarsi Sparso d'intorno a me di fior diversi.
Tolsi una rosa, e il cittadino fiore Offerto in premio all'umil canto mio, Accrescendomi in seti forza e valore Di bella laude vi addoppiò il disio. Sperai per esso che di nuovo onore Avrei fatto giocondo il suoi natìo, O se vana la speme, il labbro muto Saria fatto per sempre al verso arguto.
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