In onore del nostro comprovinciale, il Maestro Riccitelli della vicina Bellante, siamo felicissimi di riportare in queste colonne la bella prosa che Guido Gatti ha dedicato sull'Ofeo alla produzione teatrale del valoroso compositore. Al quale sentiamo di inviare con tutto l'orgoglio di Abruzzesi, felicitazioni pel meritato trionfo avuto a Milano, con la geniale produzione.
Ecco quel che stampa l'Orfeo:
Ultimo fiore di una stagione lirica sorta e vissuta non indegnamente al Teatro Carcano, è venuta questa Maria sul Monte di Primo Riccitelli; la quale ha ottenuto un vivissimo spontaneo successo a ciascuna delle sue rappresentazioni.
Il maestro Riccitelli è un giovane abruzzese che ha studiato a Pesaro sotto la guida di Pietro Mascagni, ed ha composto la musica di quest'opera circa dieci anni or sono. Due dati di fatto che sono stati presi in ben differente considerazione: il primo à formato quasi l'unica base di ogni giudizio dato sul lavoro: il secondo è stato dimenticato quasi del tutto.
Poichè il Riccitelli veniva incontro a noi sotto l'aureola della fama del suo Maestro s'è voluta vedere la derivazione mascagnana in ogni pagina - che dico, in ogni battuta dello spartito; Riccitelli così è quasi scomparso, constretto nella falange dei mascagnani, gente, come si sa, che del maestro ha imitato tutta la parte più enfatica, senza averne mai una di quelle scintille di genialità che irraggiano a spruzzi le opere dell'autore di Cavalleria.
Invece s'è voluto dimenticare che la musica di Maria sul monte venne quasi tutta una diecina d'anni or sono: e che quindi non può affatto portare segni di Isabeau e di Parigina scritta, come ognuno sa, molti anni dopo. Inoltre si deve tener conto di questa data per giudicare l'opera, anche dal punto di vista esclusivamente musicale, sia nei riguardi dell'età dell'autore d'allora, sia nei riguardi dell'epoca in cui venne scritta.
Premesso ciò, diremo che l'opera del maestro Riccitelli è degna di essere considerata con simpatia, per la spontaneità e per la sincerità onde n'è informata la ispirazione. L'opera procede compatta, serrata, convincente: non ha grande ricchezza di temi, nè si snoda in sviluppi tematici di molta complessa elaborazione. Conosciamo il procedimento per trasposizioni tonali: trovata la frase, essa è ripetuta in progressione tonale sino all'esaurimento del sentimento ispiratore. Il procedimento non sarebbe di certo più usato dal Riccitelli d'oggi, il quale - si comprende benissimo parlando con lui - à già oltrepassato con lunghi passi la sua prima opera e vede oggi assai più in là.
Nè vi troviamo novità peregrine dal punto di vista drammatico: il libretto non lo permetteva, infarcito com'esso è di luoghi comuni del teatro melodrammatico.
Il libretto è di Carlo Zangarini, un divo del libretto. E vi si discorre di una fanciulla, Maria, che vive in un paesello della Riviera Ligure di Ponente, verso il 1800. Questa fanciulla, che sempre respinse le proposte d'amore di Beppe, il guardiano del faro (il baritono - s'intende - dello spartito), è affascinata un giorno - e precisamente il giorno del venerdì santo - dalle parole mistiche di un bellissimo cantastorie Angion (il tenore), il quale, di sboccato cantore che era un giorno, è divenuto ad un tratto un apostolo, poi che dice di aver veduta in sogno la Madonna e d'averne avuto il comando di erigerle un tempio sulla cima del Monte.
I pescatori sono essi pure presi dalle ispirate parole del giovane - che non si comprende mai se faccia sul serio o li prenda in giro - e danno ori e gioielli per la Madonna, impersonata per il momento nelle capaci tasche del cantastorie accorto, Maria, che nulla à di prezioso addosso, offre la sua anima: e, vedremo in seguito, altra cosa insieme.
Cos' nel secondo atto assistiamo a questo morboso mistico carnale mènage nella grotta del Monte, dove i due seguitano a giocare dinanzi alla propria coscienza ottenebrata la commedia della Santità. Senonchè Beppe viene a scovarli: e poichè ebbe ancora da Maria rifiuto di ritornare al paese, dove la vecchia zia Tesia è impazzita, si prepara a rapirla con la forza.
Però nel punto istesso in cui giunge con un vociferare seguito di uomini armati per l'impresa, un fulmine celeste incenerisce il sacrilego Angion, ai piedi di Maria. E la fanciulla appare in un'irradiazione di luce divina, nella grotta; dinanzi a lei tutti si prosternano come dinanzi ad una incarnazione della Madonna.
Cos' finisce questo incomprensibile libretto dello Zangarini, dove pure sono momenti di grande drammaticità teatrale specialmente nel secondo atto e nel finale ultimo.
Come s'è visto vi sono tutti gli ingredienti per farne un libretto da musicare: e il Riccitelli doveva quindi, per necessità, incappare nei luoghi comuni del melodramma. Ma confessiamo ch'egli à saputo dar prova di nobiltà di sentire e di buon gusto: ed in alcune pagine, in cui è potuto sferrarsi dalle pastoie del libretto, la sua ispirazione fresca ci à dato sensazioni di bella commozione. Ad esempio nel dolce canto di Maria, "Su per l'erta vetta montana, salmodiando andavano i fedeli", su di un mormorare di doppie terzine: e nel drammatico racconto della visione, cantato da Angion nel primo atto. Altre pagine brillano per vivezza e per brio: tali quelle che il coro canta per spingere il cantastorie a dire la canzone della boscaiola, che terminano in ridda vorticosa e le sopraggiungenti serene voci della processione che attraversa la scena, cantando le laudi della Vergine Addolorata.
Musicalmente egli s'è dimostrato inoltre agguerrito e consapevole dei mezzi d'espressione: i cori - complessi e di difficile esecuzione - del primo atto raggiungono felici effetti di polifonia vocale; e l'orchestra viene pur trattata con sobrietà e con eleganza. Qua e là notammo coloriti e tonalità piene di sapore: e pure nel breve intermezzo, che non pretende tuttavia d'essere affatto una pagina sinfonica. Ed in ciò è forse la più evidente derivazione mascagnana del musicista teramano. (Però il Riccitelli ha scritto anche musica non teatrale, e presto potremo giudicarlo anche sotto questo nuovo aspetto). Gli squilibri dinamici rilevati da qualcuno, sono più imputabili all'esecuzione orchestrale, la quale fu davvero manchevole. Il maestro Anselmi non ci dette affatto un'esecuzione perfetta e mostrò più volte di non avere compreso lo spirito dell'opera.
Sulla scena le cose andarono meglio.
Nonostante queste deficienze di esecuzione l'opera piacque assai al pubblico, il quale chiamò e richiamò ripetutamente il Riccitelli agli onori della ribalta per dimostrargli la sua simpatia; e il lavoro si replica ancora. Noi ci associamo di buon grado al giudizio del pubblico: e attendiamo Primo Riccitelli a novelle prove che vogliamo sperare ci riconfermeranno il suo valore, ponendo in maggior rilievo le sue belle e vive doti di musicista.
Guido M. Gatti
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