I "compagnacci" hanno - finalmente! - una sorella: Madonna Oretta. La famiglia del Riccitelli si allarga e ne siamo arcicontenti, perchè abbiamo fiducia nel musicista abruzzese e riteniamo che da lui si possa attendere una generosa prole. Purtroppo, la sua fecondità - che potrebbe essere notevolissima, data la sua capacità di produrre presto e bene - risulta saltuaria e stentata. Primo Riccitelli, per chi non lo sapesse, è un artista bizzarro e stranamente abulico. Taluno lo ha definito come "l'ultimo musicista bohèmien" e tale appellativo gli si adatta a perfezione. Lasciamo ai critici delle riviste musicali il compito di sviscerare a fondo la partitura della nuova opera. Il nostro articolo deve soltanto dare al lettore un'idea sommaria di Madonna Oretta e servirgli da guida, in una eventuale passeggiata per i graziosi giardini che il Riccitelli ha coltivato amorevolmente. Ci troviamo di fronte ad una commedia lirica senza intenti speciali estatici. Il musicista non vuole meravigliare chi lo ascolta e giura di non voler essere un innovatore. Egli si prefigge soltanto lo scopo di interessare e divertire il pubblico e sdegna le trafittura dei musicologi esigenti. Benissimo. Chi, scrivendo musica, pensa ai supercritici che si dilettano specialmente nel sezionare i cadaveri, corre il rischio di perdere la testa. grazie al cielo, il Riccitelli, nel comporre la sua Madonna Oretta, non ha mai avuto un istante di smarrimento. E l'opera risulta, se non tutta bella, tutta chiara, sincera e scorrevole. Allievo del Mascagni, Primo Riccitelli non ha voltato le spalle al suo educatore ed anzi, più di una volta, gli ha tributato qualche omaggio affettuoso. Però Madonna Oretta è assai meno mascagnana dei Compaganacci e dimostra il grado di equilibrio e di indipendenza spirituale al quale il Riccitelli è pervenuto. La Madonna Oretta rivela lo studio assiduo dei migliori operisti italiani odierni, ma non è un prodotto d'assimilazione: dall'insieme, emerge la personalità di un musicista che sa trarre dall'orchestra raffinate e gustose sonorità e che, anche quando intona motivi popolareschi di sbrigata franchezza, non si abbandona mai ad eccessi di verismo, trattenendosi dallo sdrucciolare nella volgarità. A ben vedere, la musica di Madonna Oretta è una piacevole mescolanza di motivi lirici, di giochetti strumentali leggeri e di energici motivi pieni di giocondità popolare. Le effusioni liriche sono talvolta un po' troppo... serie. E' chiaro che il Riccitelli, lungi dal divertirsi alle spalle della mercantessa Oretta, della cortigiana Genovieffa, del Conte di San Gemignano e dei melensi cicisbei Lando e Bonaccorso ha cercato di essere cortese con loro quanto era possibile, forse più del necessario. Perciò qualche scena della commedia musicale non risulta strepitosamente ridanciana e buona parte del primo atto, malgrado l'abbondanza degli arabeschi capricciosi, dei guizzi orchestrali e delle fratture di ritmi, ha soltanto qua e là un piccante sapore comico. I personaggi della commedia non assumono un tono caricaturale (come, ad esempio, nella Vedova Scaltra di Wolf Ferrari) e, se anche parlano burlescamente, la musica non fa eco alle loro facezie. Del resto, secondo noi, essi parlano troppo. Si avverte che il libretto di Madonna Oretta deriva da una commedia: la dialettica verbale è esuberante e l'azione, a causa di tanti discorsi, si rallenta. Anche l'episodio finale del primo atto - l'appuntamento notturno di Lando e del cavaliere Bonaccorso con l'astuta Oretta che li canzona atrocemente - non ci trasporta, come dovrebbe, in un clima di farsa elegante. Comunque, la chiusa dell'atto, con il vaghissimo canto del nottambulo, produce molto effetto. E il successo divampa, infallibilmente. Nel secondo atto, l'ironia prende il sopravvento e, in qualche scena, domina sovrana. Il monologo del Conte, maltrattato dall'amante e sconvolto da una gelosia ridicola, non ci appaga del tutto, nè la successiva scena tra la cortigiana e il furente signore porta con sè freschi elementi musicali: ma, con l'arrivo di Madonna Oretta camuffata da maschio, si fa una gran luce. Il lungo colloquio tra costei e la vanitosa, stupidella e procace Genovieffa è un gioiello. Non esitiamo a qualificare come magistrale questa parte dell'opera. La finta ingenuità di Oretta, la facile arrendevolezza della cortigiana, quel misto di sentimentale-beffardo e di vero languore amoroso che caratterizza il testo poetico del Forzano appare mirabilmente reso dalla musica del Riccitelli. La canzone di Oretta è adorna di tutte le desiderabili leggiadrie melodiche; e ogni dettaglio della scena ha un colore appropriato. Soltanto un operista di talento vasto e di sensibilità acuta avrebbero potuto scrivere pagine di tanto merito. L'atto termina con la venuta di alcune donzelle che cantano e danzano, facendo dimenticare al Conte scornatissimo la sua brutta avventura con Genovieffa. La musica diventa accentuatamente popolaresca e piace per la sua melodiosità italianissima. Il terzo quadro, succinto e festoso, procede con un notevole crescendo di effetti. Qualche scena - ad esempio quella del congedamento definitivo dei due spasimanti di Oretta - ha una modesta evidenza, ma le canzoni a ballo e le stornellate paesane valgono a rallegrare l'ascoltatore. Così si giunge al duetto finale tra Oretta e il Conte di San Gemignano. Ivi il Riccitelli si afferma musicista di cospique risorse. La scena condotta con perizia e buon gusto, culmina con l'a due sulle parole "E benedetto sempre sia l'amore!". La melodia, non peregrina, ma intensamente passionale, prorompe e stravince. Soltanto gli operisti italiani - quelli veramente italiani - sanno cantare così. E per questa loro capacità di riversare tutto il fuoco della loro anima in un motivo di vigorosa plasticità e di percettibilità immediata, bisogna amarli, tanto, tanto, tanto... Oretta e il Conte si baciano, la notte abbuia il cielo, ma nell'orchestra è giorno pieno. L'ultima pagina dell'opera brilla anch'essa di sana bellezza popolare. Oretta intona uno stornello alato: Fior d'ogni fiore!... E per calendimaggio voglio dire le burle dell'amor fatte all'amore! e il coro dei gaudenti accorsi all'osteria fiesolana per celebrare la flice primavera ripete con esultanza il motivo del canto di Oretta. La cena pingue è pronta, il divertimento sarà forte. Luca del Bonino, mercante anzianotto e brav'uomo di facile contentatura, sarà fatto becco dall'indiavolatissima sua consorte. Ma non spetta a noi il compito di vigilare su di Oretta e servire a costei un austero sermone. Noi abbiamo soltanto il dovere di applaudire la commedia musicale che ci ha divertiti assai, se pure non ci ha rivelato un mondo nuovo. E applaudiamo amichevolmente. Dunque: una produzione d'arte graziosa e spigliata che attesta della vitalità - oggi così oziosamente discussa - dell'opera lirica italiana. Madonna Oretta non ha la dignità artistica del Gianni Schicchi di Puccini, nè l'acre senso parodistico della Vedova scaltra di Wolf Ferrari (che il pubblico romano ha capito solo in parte): essa è tuttavia da considerarsi come uno dei più amabili lavori della scuola contemporanea. Il maestro Riccitelli non è un filosofo, non teorizza, non cerca il pelo nell'uovo, preferisce i cavoli nostrani agli ananas d'oltremare, non deforma crudelmente le armonie della sua musica per renderle "originali e audaci" fa cantare liberamente i suoi personaggi pur trattenendosi dalle espressioni enfatiche, non riesce ad evitare l'imitazione di taluni procedimenti degli autori che gli sono cari ed un paio di volte (ohibo!) si inchina a Wagner, senza, per altro, cadere in servitù: aggiungiamo che egli conosce assai bene le leggi della prospettiva teatrale e le applica con pieno successo... Non vi basta? Aggiungeremo, allora, che la veste strumentale della sua opera è di buona fattura e che, dove occorre, il tessuto sonoro diventa trasparente come una rete argentina, per dare modo ai cantanti di far udire distintamente, ad una ad una, le parole del testo. Ciò detto, rallegriamo col Riccitelli per la onesta e risplendente vittoria che gli ha arriso. Egli se la meritava, per le sue solide qualità di musicista, per la modestia esemplare della sua vita, per la bontà francescana della sua anima. Ora però il Riccitelli deve tornare subito al lavoro. Madonna Oretta non richiede ulteriori cure: può camminare senza timore di imboscate o di infami aggressioni. E' inutile che il maestro le corra dietro con sollecitudine paterna... Conviene, invece, che egli si chiuda nel suo studio (se l'ha), prenda una penna stilografica o, se più gli aggrada, una penna d'oca, si procuri molti fogli di carta, magari di quelli che servono ad avvolgere il salame, e si metta a scrivere. Egli ha composto due opere di pretto ambiente fiorentino - I Compagnacci e Madonna Oretta - ed ha saputo toscaneggiare con abilità, ma da lui si attende un'opera nella quale la terra e il mare d'Abruzzo siano esaltati liricamente ed epicamente. Primo Riccitelli può e deve darci quest'opera strapaesana e noi non vogliamo attendere troppo... (...) Alberto Gasco |