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[ Niccola Palma - Storia di Teramo - Indice del volume 1 in formato immagine ]


  Niccola Palma
Storia di Teramo
 
CAPITOLO II
 
curatore Fausto Eugeni
 
 

CAPITOLO II.

 

Incertezza de' primi abitanti della Regione

 

I dotti, che hanno preso a trattare le Storie particolari, in mancanza dell'opera di Catone sulle origini delle Città d'Italia, ;disgraziatamente perita, e di ogni altra plausibile autorità, o monumento circa le primitive generazioni, si sono abbandonati sovente alla loro propria immaginazione. Quindi tanti sono stati i sistemi quanti gli Scrittori, ed i posteriori fra questi han voluto d'ordinario sorpassare gli anteriori in ardire. Si è cercata fin tra gli Etiopi, ed i Persiani la somiglianza di qualche nome de' Paesi, e dalla creduta etimologìa si è fatta poi strada alle più strane conseguenze. Appena i moderati contentati si sono di un'origine Trojana, o Greca. Lasciando da banda le erudite cose, che si son dette de' Titani, de' Pelasgi, (1) de' Celti, degli Osci, degli Ausoni, degli Enotri, e de' Tirreni: non esaminando se costoro sieno stati popoli diversi, ovvero se abbiano più di un nome ottenuto: e compassionando la follia di chi sotto il vocabolo di Aborigiui avesse mai voluto insinuare la preesistenza di razze non discendenti da Noè; mi rivolgo all'Oriente, donde partir dovettero le colonie, che hanno popolata la terra: rimettendo chi fosse vago di risapere alcuna cosa sull'oscura Storia d& nostri progenitori ai Ragionamenti sugl'Itali primitivi del Maffei, alle Origini Italiche del Guarnacci, al Saggio sulla storia degli antichi popoli d'Italia del Duranti, ed ai Primi abitatori d'Italia del P. Bardetti.

 

Bello intanto è l'osservare l'ammirabile armonia tra la cennata verità di Religione, e quel poco che l'induzione, e la storia profana ci presentano sull'oggetto.

 



Colpito il Sig. Delfico dal cognome di Palestina, data da Frontino in varie parti del libro de Coloniis alla nostra Interamnia, e trovando in Oriente una regione, ed un popolo, che portarono il nome di Petrusim, o Phetrusim, dal quale popolo il Bochart, ed il Mazzocchi fan derivare i Palestini; saggiamente ha opinato (Interam. Pretuz. cap. 1.) che il primo nome di Teramo sia stato Petrut, significante una situazione rilevata, e marcatamente distinta da ciò che la circonda, coni' era appunto lo stesso Petrusim, o Phetrusim, e com'è la Città nostra, pressoché cinta da due fiumi: che Petrut per una facile metatesi, frequentemente accaduta nelle antiche parole, si cambiò in Praetutium, forse all'epoca della conquista de' Romani, i quali diedero senza dubbio inflessioni latine ai vetusti nomi: e che dai Romani medesimi il nostro Petrut, o Praetutium, quasi per traduzione, siasi detto I nteramnia, cioè tra fiumi (2) . Dà l'egregio Autore un significante peso alle sue congetture con due medaglie < che già nella collezione di D. Niccola Sorricchio di Atri esistevano » nelle quali leggevasi PETRUT, ed anche peso maggiore avrebbe lor dato l'estensore del Dizionario della Provincia (pag. 113. ) se fosse stato vero: che « estistono le monete coniate nei tempi, che Teramo non era stata vinta dai Romani » (lo avrei consigliato a scrivere piuttosto gettate, che coniate). « In una di queste vi è da una parte la figura di una Donna, e dall'altra quella di un Cignale, col motto PET., PETRUTZUm abbreviato » . In tale asserzione null'altro vi ha di vero, se non che nel museo del fu Barone Sig. Alessio Tullj, disperso nella fatale giornata .de' 19. Dicembre 1798. eravi una medaglia colla leggenda PET. ed io nella mia prima gioventù ebbi agio di osservarla più volte. Credei allora, insieme cogli altri appassionati cultori delle patrie antichità, che dessa veramente a Petruzio appartenesse. Ma dopo essermi incontrato con monete di Bretia (Brettion) ove leggesi BPET (Bret.) e l'invenzione delle quali non è rara nelle nostre contrade, la piacevole illusione è cessata: e sospetto che nella medaglia Tulliana fosse scomparso il B. per una delle facili erosioni de' vecchi numismi, onde derivata fosse la leggenda PET. in vece dl BPET. Intanto lo smarrimento della medesima m'inabilita a deporre, mercè più accurate osservazioni, un dubbio, il quale ogni giorno si fortifica, da che gli sforzi praticati per rinvenire una sola moneta Pretuziana, sono tornati infruttuosi. Dirò quindi più tosto che altri argomenti somministrar potrebbe Plinio di una trasmigrazione de' Palestini, o Filisdei in Italia, segnatamente al lib. 3. cap. 16. ove rammenta le Fosse Filistine, (3) scavate dai Tusci, o Toscani, ad oggetto di dare alle acque stagnanti uno scolo fino al mare, vicino a Brondolo: opera, la quale, secondo il Mazzocchi, porta col nome la sua epoca: e che altri desumere se ne potrebbero da Plistia o Plistino, Città de' Marsi mentovata da T. Livio, e da Phistulis, o Phistuvia, sia questa identica a Pesto, come il Mazzocchi suppose, sia diversa Città, come giudica il Sestini.

 

Ma ponghiamo da parte gl'indizj etimologici, che soddisfano il criterio, e studiamoci in vece a trarre profitto dal chiarore, che due lampi dati da Plinio spandono su questo più tenebroso articolo della nostra Storia.

 

Giova recarne le proprie parole (Hist. Nat. lib. 3 . cap. 13.): Quinta regio Piceni (4) est, quondam uberrimae mtultitudinis. CCCLX. millia Picentium in fldem populi Romani venere. Orti sunt a Sabinis voto vere sacro. Tenuere ab Aterno amne, ubi nunc Ager Adrianus, et Hadria colonia, a mari VII. millia passuum. Flumen Vomanum: Ager PRAETUTIANUS, Palmensisque: Item Castrum novum, (lumen Batinum; Truentum cum amne, quod solum Liburnorum in Italia reliquum est: fumina Albulates, Suinum, Helvinum, quo finitur PRAETUTIANA regio, et Picentium incipit (A) . Quindi passando nel seguente cap. 14. alla sesta Regione, cioè all'Umbria: jungitur bic sexta regio Umbriam complexa, agrumque Gallicum circa Ariminum: ab Ancone Gallica ora incipit, togata Gallia cognomine. Siculi, et Liburni plurima ejus tractus tenuere (5): in primis Palmensem, PRAETUTIANUM, Adrianumque agrum. Umbros hos expulere (6), hos Hetruria, hanc Galli (B).

 

 

Da entrambi i testi è lecito stabilire in prima che dalle opposte spiagge dell'Adriatico venuti fossero a piantar sede, almeno nelle nostre spiagge marittime, i Liburni (7) celebri per la velocità de' loro navigli. Di Truento, ultima a sopravvivere delle Liburniche colonie, oggi compariscono grandiosi vestigj sulla destra sponda del fiume, che avea con essa comune il nome, nel territorio di Colonnella, per oltre un miglio. Cominciano dal così detto Porto di Martin Securo, e continuano parte sulle eminenze, e parte sul piano vicino al mare, fino alle tre deliziose colline chiamate la Civita, ove rimangono i ruderi più significanti, ed ove monete ed altre anticaglie tuttodi si rincontrano: senza che oltrepassino l'antico corso del Tronto, o come dicono il Tronto vecchio il quale dirigevasi per circa mezzo miglio verso l'interno del Regno, come tuttavia il dimostra l'alveo, ed imboccava all'Adriatico ad un'altra metta di miglio dalla Civita.

 

Dai troppo concisi termini del secondo testo si può quindi raccogliere che l'agro Palmense, Pretuziano, ed Atriano fossero successivamente signoreggiati dai Siculi, dagli Umbri, dagli Etruschi, e dai Galli. Proviamoci a commentarli partitamente.

 

L'opinione più probabile fa i Siculi (8) originarj pur della Illiria, e forse l'esempio, e la buona riuscita delle colonie Liburniche, animò anch'essi a traghettare il Supero mare (c). Assai rimota è l'epoca della loro venuta, dalla quale dedurre si può che 1'approdamento dei Liburni sia stato ancor più rimoto. Il Bossi, quasi dimentico della sua teoretica avversione alle trasmigrazioni degli Orientali in Italia avanti la presa di Troja, fu come costretto a scrivere (St. d' I t. lib. I cap. 8.) : « Coloro che i Siculi derivar fanno dagl'Illirj, passati li suppongono dalla Dalmazia in Italia dopo i Liburni, sedici secoli all'incirca prima dell'era Cristiana ». Sembra che i secondi avveniticci non inquietassero i loro Connazionali nel possesso dei luoghi marittimi, ma s'inoltrassero verso i monti. Esteso fu certamente il dominio dei Siculi nella parte media d'Italia, intorno al Tevere, nella Sabina, e fino in Etruria, ove possederono le Città di Faleria, e di Fescennia. Numana, ov'è oggi il Castello di Sirolo, a Siculis condita (D), dice Plinio. Ab iisdem colonia Ancon, apposita promontorio Cumero (E). Dionigi di Alicarnasso stimò Tivoli fabbricata dai Siculi: e perciò, secondo lui, ad una parte di quella Città era rimasta la denominazione di Sicilia. E quando i raminghi Pelasgi, quietandosi alla risposta renduta dall'oracolo di Dodona, riferita pur da Dionigi: pergite quaerentes Siculorum Saturniam terram (F), o come hanno i versi di Omero, giusta la traduzione del Vittori, dai quali si vede tratta la risposta dell'oracolo: pergite quaerentes Siculos Saturnia in arva (G), si posero a cercare la misteriosa isoletta; sen vennero a Cotilia, cioè presso la moderna Città‑Ducale. Dei Siculi rimane una singolare memoria nel nome di Sicilia, che porta ancora una contrada, non lungi dal confluente del Mavone e del Vomano, ristretta al di sopra da S. Rustico, titolo di diruta Chiesa, ed al di sotto occupata dalla denominazione della Villetta Corroppoli, ivi sorta: e nel nome di Valle‑Siciliana, che costantemente hanno ritenuto e ritengono i montuosi paesi a destra del Vomano, e dove (riflette il Delfico p. 7.) forse quei popoli si poterono più lungo tempo mantenere. Del medesimo sentimento era stato il Camarra (de Teat. aut. lib. I. cap. 3. ): Quae gens (Sicula) nomen etiam alicubi in Aprutio servat, ut Pontanus observavit, et fortasse geuus(H). Più di tre secoli durato sarebbe il soggiorno de' Siculi fra noi, poiché il Bossi (Ibid.) crede rilevare da Dionigi ch' eglino furono cacciati dall'Italia circa un secolo avanti la caduta di Troja, 1284. anni ad un di presso avanti Gesù Cristo. Una specie di confederazione generale dei popoli Italici gli obbligò a ricoverarsi nella Trinacria, ove loro mostrandosi più propizia la fortuna, vinti i Sicani, cotanto si estesero in quell'isola, che questa contrasse il nome di Sicilia.

 

Coloro ch'espulsero i Siculi dai tre Agri furono gli Umbri (9) . Scilace Cariandense, scrivendo il suo Periplo circa sei secoli avanti 1' era volgare, ed annoverando per ordine topografico i popoli d'Italia, pose gli Umbri lungo l'Adriatico, dalla Daunia fino ad Ancona inclusivamente. Da essi io tengo opinione che abbia desunto il nome il nostro fiume Ubrata. Perché no? Si crede ciò dell' Ombrone, e non potrà credersi della Ubrata? Ma gli Umbri a vicenda si videro forzati a cedere il luogo agli Etruschi, i quali loro tolsero, al dir di Plinio, trecento Città. Sia a noi permesso intendere trecento aggregati di rozze capanne; che altro non fu Roma stessa, fino a che non venne incendiata dai Galli. Da allora l'Umbria restò circoscritta dagli Appennini, dal Tevere, e dalla Nera, e quasi non più figurasse fra le Nazioni, divenne un'appendice dell'Etruria.

 

Gli Etruschi, o Tirreni, posto prima piede nel paese tra l'Adriatico e gli Appennini, penetrarono quindi nella Campania, rendendosi padroni dei lidi del mare Inferiore perciò chiamato Tirreno, e si mantennero in sì vasti dominj fino a che a Levante non furono cacciati dai Galli, a Ponente dai Latini e dai Sabini, onde restringer si doverono nell'Etruria propriamente detta, fra il Tevere e la Magra. Così Bossi (lib. I. cap. 3) . Sicchè noi non solamente saremmo stati Etruschi, ma dei primitivi Etruschi. Siffatte incerte cose però da banda. A persuadere che non dobbiamo riputarci stranieri alle glorie degli Etruschi, non mi avvalerò dell'autorità di Tito Livio (Dec. I. lib. I.) il quale ci ha trasmesso che l'impero di quelli, prima de' Romani, ampiamente si distese in entrambi i mari, da cui l'Italia a guisa d'isola è circondata: aggiungendo che l'Italia tutta fino alle Alpi fu da essi abitata, e signoreggiata, eccetto il piccolo tratto di terra, che ai Veneti apparteneva: alla cui testimonianza fanno eco Servío (ad 2. Georg. Virg. ) Diodoro (lib. 5. cap. 9.) e Polibio (lib. 2. num. 17.). Non affaccerò il buon numero di grotte, talvolta le une congiunte alle altre, da non potersi supporre acquidotti, le quali s'incontrano per tutto l'Agro, ma specialmente in Teramo (Muzj dial. di var. fez. gior. I.) di che servivansi gli Etruschi per sepolcri. Nè anco entrerò alla delicata questione se Atri a noi vicina (come ragioni di gran peso, ed il sentimento di Paolo Diacono, lib. 2. c. 19. il persuadono) o Adria del Polesine sia quella Città Etrusca, che dette il nome al Mare Superiore (Liv. 1. c.) e che fu inventrice degli Atrj, secondo il breve cenno di Varrone (de ling. lat. 1. 4.) : Atrium appellatum est ab Atriatibus Tuscis: (I) qual' etimologia anche da Festo Pompejo, da Servio, e più distintamente da Diodoro Siculo (bist. 1. 5. c. 9.) si riporta. Farò solo osservare che agli Etruschi si attribuiscono quelle monete di bronzo fuso, di gran mole, che le Città Italiche gittavano prima delle conquiste de' Romani. E' certo almeno che le sole Città dell'Italia media, come Todi, Gubbio, Volterra, Populonia, Chiusi, ne hanno. Osservò il Passeri nel suo Cronico Nummario che le Italiche Città quantunque non cambiassero gli effigiati adottati una volta, fecero subire però alle loro monete una progressiva diminuzione di peso; cosicché le monete più antiche sono quelle che proporzionalmente più pesano. Osservazione profonda, consona alla ragione, perché aumentandosi successivamente i bisogni, ed i prodotti, fu mestieri soddisfarli, e rappresentarli con minor massa di metalli: e consona al fatto, perché è facile verificare che i più antichi Assi Librali di Roma, e le loro parti frazionarie Semisse, Triente, Quadrante, Sestante, ed Oncia sono di maggior peso, e che questo va insensibilmente scemando secolo per secolo. Che se dal peso de' numismi si desume la loro antichità, a buon dritto conchiuse il Sig. Melchiorre Delfico, nella sua dottissima opera Dell'antica Numismatica della Città di Atri nel Piceno, che le Atriane sieno le più antiche fra quante Urbiche monete si conoscono in Italia. Ed in vero i più vetusti assi Romani non pesano che tredici once de' nostri ,tempi: di più non pesano i famigerati Assi di Todi; mentre gli Assi Atriani giungono fino a diciotto once. La medesima preponderanza dell'Asse Atriano sul Romano, e sul Tudertino, hanno le divisioni di quello alle divisioni di questi. E siccome nelle successive monetazioni delle Italiche Città, il volume, ed il peso andarono sempre decrescendo; così in Atri parimente decrebbero, trovandosi l'Asse decaduto fino al peso di sole dieci in undici once. Questi Assi di più piccola mole sembrano appartenere all'ultima monetazione di Atri, cioè all'epoca, in cui le nostre Regioni caddero sotto il giogo de' Romani.

 

Posto che nell'Italia media non vi sieno monete più antiche delle Atriane, si può per pruova di fatto sussistente tenere che Atri sia della media Italia la più antica Città. E perché ove sono monete, lettere, tipi di non dispregevole disegno, simboli di manifatture, di navigazione, e di commercio, evvi pur anche civile coltura; così la gloria di possedere un documento parlante del primo Italico civilizzamento non ad altra Città che ad Atri compete: gloria la quale sui Pretuziani in qualche modo ricade, perché agli Atriani conterminali. Osserva di vantaggio il citato ch. Autore che dall' Aterno al promontorio Cumero non s'incontrano Medaglie con nome di Città, fuori delle Atriane: dal che molto plausibilmente inferisce che Atri fosse stata la Città primate, e sede della Picena rappresentanza, avanti la conquista de' Romani. Illazione felice, giacché prima di tal' epoca le Italiche Società erano riunite in Stati Federativi, i quali riconoscevano una Città principale, ove riunivansi gli Stati Generali: ed io ho potuto verificare che sebbene la maggior parte de' nummi A,triani siasi trovata nell'attuale Circondario di Atri; pur non di meno qualcuno se ne va rinvenendo nei Circondarj convicini. Ecco perchè tutti gli Apruzzesí, e Marehegiani, amatori delle antichità, ne sono più o meno provveduti. Ma ricco n'è oltremodo il Sig. D. Francesco Sorricchio Primicerio della Cattedrale di Atri, il quale ne possiede più di settanta, oltre i molti che agli eruditi viaggiatori ha egli donato. Preziosa collezione, la quale nei termini proposti dal dotto Ab. Lanzi (Sag. di Ling. Etrusc. Vol. 2 p. 644.) ha decisa la questione se le Medaglie, delle quali parliamo, si abbiano ad attribuire ad Adria, ovvero ad Atri; poiché ne il Groto, ne il Bacchi Scrittori di Adria han potuto citarne una sola, come esistente nella loro Patria, o nelle sue vicinanze. Delle diverse monetazioni i tipi son sempre i medesimi. L'Asse ha nel campo un Capo barbato, e senile, coronato da un diadema, o benda, le cui estremità pendono ai lati del volto: nel rovescio un lupo dormiente. Il Semisse un Capo muliebre, che sporge da una conchiglia: ed un cavallo alato. Il Triente una Testa giovanile: ed un Vaso diota. Il Quadrante ha nel diritto il Pesce che chiamiamo Raggia, e dall'altro canto un Delfino. Il Sestante un Gallo, o piuttosto una Gallina: ed un Calceo, ossia Scarpa. L'Oncia ha un'Ancora: ed un globetto, cioè l'Obolo. Da per tutto la leggenda è HAT. Havvi pure un settimo modulo, il quale in un prospetto offre due Ierotere (AS) ed in un altro la sola lettera H, ma perché non presenta alcun obolo, solito segno del valore monetario, credesi semplice monumento di particolare confederazione tra le Città di Ascoli, e di Atri. E' di bene rimarcare che la lettera S. di quest'ultima Medaglia, e la lettera L. la quale spesso si osserva nell'Asse (Libra) sono di quelle, che gli eruditi appdllano Oscbe: altra ragione, per cui le Atriane monete debbono riputarsi Etrusche; dappoiché hanno lo stesso fondo la lingua Osca, e l'Etrusca.

 

Or se Atri fu un Etrusco stabilimento (10) , e di grande considerazione: e se fio in Larino ed in Lucera, che pur posseggono Etrusche monetazioni, gli Etruschi si estesero, fuor di contrasto si saranno eglino estesi nella nostra Regione, meno lontana dalle più stabili loro sedi. Di passaggio si noti che anche gli Etruschi furono originarj di Oriente, sia che derivassero dai Lidj, come il Bianehini ha preteso nella sua Storia universale: sia che discendessero da' Fenicj, come altri hanno opinato: sia che provenissero dagli Egiziani, come sospettò il Buonarotti nel supplimento all'Etruria Regale del Dempstero, e come sembra più sicuro sul riflesso della mirabile somiglianza tra i monumenti Etruschi e gli Egiziani, rimarcata già da Strabone (Geogr. lib. 18.) ed ultimamente dal celebre antiquario Winkelmann (Hist. de l' Art. t. 1) . E' degno pure di attenzione che parecchi Assi, Trienti, Sestanti ed Oboli Atriani hanno la leggenda HAT. scritta all'Orientale, cioè da destra a sinistra.

 

Dagli Etruschi suppongo che fosse tra noi portato il culto di Feronia, e di Ancaria, del quale tornerà parola: se è vero che la Toscana ridondava di tempj e di boschi dedicati alla prima, e che gli Etruschi, specialmente que' di Fiesole, fossero stati divoti della seconda. Turan, o Deità o Costellazione, che in alcune Etrusche patere si addimostra, ha potuto essere il principio del nostro Turano, che arbitrariamente si scrive (ma non si pronunzia) Torano. Inclino a credere altresì che dagli Etruschi ripetano il nome Fesistente Moratorio, il fu Montorio a mare nell'odierno tenimento di Corropoli, e Monterone, poscia Castel S. Giorgio, Paese anch'esso distrutto nelle pertinenze di Guardia a Vomano: dappoiché adorando gli Etruschi, come i Greci, Era ossia Giunone: ed Eraion, o Ereon significando tempio di Era; Montorio, e Monterone altro verosimilmente non dinotarono nel nascere che Monte del tempio di Era. E come Massa così di Toscana, che di Maremma, e Tucciano vicino Orta sono dagli eruditi stimati di origine Etrusca; così Massa, di cui la superstite Chiesa di S. Croce ad Massam dura ad indicarci il sito, e Tucciano, di cui si veggono vestigj di rimota antichità nel territorio di S. Atto verso S. Eleuterio, possono del pari servire a noi d'indizj del domicilio degli Etruschi in queste contrade.

 

Esige ora l'ordine cronologico che s'interrompa per poco il commento del secondo testo di Plinio, e si riporti in vece l'attenzione alle parole del primo: Orti sunt (Picentes) a Sabinis (11) voto vere sacro (L). Il vecchio Geografo e Storico vuol dirci che i Sabini, da Varrone paragonati alle api per la moltitudine delle colonie che trasfusero, scacciarono dai lari quanti giovani erano nati nella primavera di quell'anno, in cui guerreggiando cogli Umbri avevano promesso di dedicare a Marte tutto ciò che sarebbe nato da essi, e che gli espulsi giovani occupando le fertili terre fra gli Appennini e l'Adriatico, diedero origine alla nazione de' Piceui, nome da supporsi desunto da Pico lor condottiere. Questo per noi rilevantissimo avvenimento è pur cennato da Strabone: Ab bis (Sabinis) origiuem duxere Picentes (12) atque Samnites (lib. 5.) (M) e fa duopo fissarlo non solo anteriormente all'invasione de' Galli, ma alla fondazione stessa di Roma. Avanti che Roma sorgesse, una consimile trasmigrazione de' Sabini avea data origine ai Sanniti, così chiamati per sincope di Sabiniti. Or è consono alla Storia razionale il tenere che la deduzione più vicina e più facile, per la quale bastava oltrepassare una delle diverse gole degli Appennini, si fosse operata prima dell'altra più difficile e più lontana. Ne dee supporsi che per semplice caso Strabone abbia nominato i Sanniti dopo i Piceni. Alla Storia razionale è consono altresì l'ammettere che una Nazione in istato continuo di guerra con potenti ed ambiziosi confinanti, non siasi trovata nel caso di popolazione esuberante: e dai primi giorni di Roma, dal ratto delle loro donzelle, i Sabini furono, per tre secoli almeno, ora in guerra aperta coi Romani, ora in guardia di essi. 1 Sabini però si piantarono negli Agri Palmense, Pretuziano, ed Atriano? Appunto dei medesimi espressamente e principalmente Plinio favella, e dice con precisione: tenuere (Picentes) ab Aterno arane (N). E che non tanto intendesse alludere alla divisione di Augusto vigente al suo tempo, quanto allo stato antico, lo dimostra colle parole:

 

quo (Helvino) initur Praetutiana regío, et Picentium íncipit (O) : parole rimarchevoli, perché additano essere stati i tre Agri distinti ed indipendenti dal Piceno propriamente detto, e di averne fatta parte soltanto nel senso della comune origine degli abitanti e del loro comune destino nel venire sotto il dominio dei Romani. Quindi non so se io debba interloquire sulla derivazione dai Piceni dei Picentini, stabiliti sulle rive dell'opposto mare, tra il promontorio Ateneo ed il fiume Silaro, le precipue Città de' quali furono Picentía, e Saterno.

 

Tornando tosto all'esame del secondo passo di Plinio, ed ai Galli indicati per ultimi fra i più rimoti abitatori dei tre Agri, bisogna confessare che per una di quelle fatalità, le quali a chiunque abbia tessuto delle Storie sarà occorso deplorare, l'avvenimento men lontano riesce talvolta il più incerto. E$ índubitato che i Senoni, popoli della Gallia Celtíca, valicarono le Alpi, sotto la condotta di Belloveso, verso l'anno di Roma 160. regnando Tarquinio Prisco: e che s'impossessarono di quel che diciamo Piemonte e Lombardìa, ove fondarono non poche Città, conservando nondimeno le colonie Etrusche, fra le quali si annoverano Ravenna e Rimini. Che i medesimi stendessero le conquiste fino alle frontiere settentrionali dal Piceno, il nome stesso di Sinigaglia (Sena Gallica) non permette il dubitarne. Ma incerto è affatto che penetrassero nel Piceno. Fuori dell'oscuro tratto di Plinio, niun altro lume storico (per quel che io sappia) ce n'è rimasto. L'etimologia di Mejulano già Paese, cui è sopravvivuto il Monastero di S. Maria in Mejulano, e di Melano (Castello distrutto nelle odierne pertinenze di Castelbasso, mentovato in una carta del 1046. dalla Cronica Casauriense) derivante dalle radici Celtiche Med fertile, e Lan terra, come appunto sono le contrade, ove Mejulano, e Melano sorgevano: non che del Pennino e di Penna, dinotante un'altezza considerevole, com'è la collina al Mezzodì di Teramo, e l'altra sul. cui pendio è situato il Villaggio Penna al Greco di Campli, nemmeno serve a confermare la permanenza dei Galli sul nostro territorio; potendo essersi imposti quei nomi, durante l'impero de' Franchi. Il Bossi, in un luogo (lib. 2. p. 2. cap. II.) suppone che il vendicativo Aronte andasse ad invitare, e ad allettare colla pruova de' suoi otri di vino i Senoni < nel Piceno medesimo, e sulle rive dell'Adriatico, ove si erano già stabiliti a tempi di Belloveso »: ed in un altro (cap. 1,4. ) dopo aver detto che gli ;stessi Senoni, i quali condiscesero ad Aronte, assediarono Chiusi nell'Etruria, presero ed incendiarono Roma nell'anno 364. e quindi (secondo Polibio) si composero coi Romani, per volare al soccorso del loro paese invaso dai Veneti, soggiunge: che ciò porterebbe a credere che < dalle rive del Po venuti fossero quei popoli a guerreggiare nell'Etruria, e nel Lazio ». Questa specie di contraddizioni si rende pressoché inevitabile, quando lo Storico non può far altro che andare congetturando dietro i barlumi, lasciati dagli antichi Scrittori. Conchiudiamo: o i Galli non signoreggiarono mai il Piceno, o lo signoreggiarono per breve tempo. Di fatti se si passano a rassegna le consecutive guerre fra i Romani, ed i Galli, dopo quella di Brenno, non si troverà mai rapporto alcuno fra le nostre regioni, ed i luoghi sia donde i secondi si mossero, sia dove si ritirarono.

 

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note Tercas omesse

 

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(1) Popolo misterioso anche per gli antichi. C. SCHEDL, Storia del Vecchio Testamento, Roma, 1959, 1, pp. 239‑240, e altri studiosi sostengono che « il nome Filistei sarebbe soltanto una interpretazione etimologica popolare di Pelasgi e che essi costitniirebbero, perciò, la propaggine più avanzata verso il sud della migrazione dorica > .

 

(2) Varrone, De Lingua Latina, V, 4, 28: « Oppidum Interamna dictum, quod inter amnis est constitutum ». Varie sono comunque le etimologie proposte dagli studiosi: ad esempio da Thermae, da Treb (= casa), da Inter Agmina.

 

(3) Secondo teorie moderne, 1'idronimo in questione, testimoniato anche in altri luoghi, è da riconnettersi con i Filistei.

 

(4) D. G. LOLLINI, La civiltà picena, in POPOLI E CIVILTA' DELL'ITALIA ANTICA, Roma, 1976, V,  pag. 109: «  mentre tutti o quasi gli studiosi  hanno

concordato sugli Appennini e sul Foglia come limite rispettivamente occidentale e settentrionale, per quello meridionale ... le nuove scoperte ... hanno confermato la diffusione della civiltà picena in parte dell'Abruzzo e precisamente fino all'Aternus » .

 

(5) Alcune edizioni di Plinio qui hanno loca. Nella mia, che è di Colonia del 1524, si legge Siculi, et Liburni plurimi ejus tractum tenuere. (NA.A.)

 

(6) L'edizione dell'Arduino ha: Umbri eos expulere. (NA.A.)

 

(7) G. DEVOTO, Gli antichi Italici, Firenze, 1961, pag. 51: « Dal punto di vista storico, due popoli antichi, i Liburni (...) e gli Asili (...) possono essere considerati, d'accordo con Eduard Norden, come rappresentanti del grande gruppo preindoeuropeo adriatico; al quale par giusto, sul modello degli archeologi, dare il nome di Piceni, distinguendolo cosí dai « Picenti », tribù italiche ... ».

 

(8) L. BRACCESI, Grecità adriatica, Bologna, 1971, pag. 9: « ... provenienti dal1'Illiria ... si sarebbero stanziati sul litorale dell'alto e medio Adriatico nella seconda metà del II millennio, per poi proseguire la loro migrazione verso il Centro Italia, ed infine, a seguito della probabile pressione dei popoli sabini, verso la punta più meridionale della penisola, donde sarebbero passati in Sicilia » .

 

(9) G. DEVOTO, Il linguaggio d'Italia, Milano, 1977, pag. 59: « ... Intendiamo come umbra una tradizione linguistica che si inizia su suolo italiano, sulle coste del medio Adriatico nelle province di Ascoli Piceno e Teramo, e si assesta nella regione interna, compresa fra Gubbio e Rieti».

 

(10) L. BRACCESI, Op. cit, pag. 119 e n. 90, passim: « Mai fu in area etrusca ... le fonti che accennano alla fondazione siracusana di 'A8pda (Adria) alludono piú o meno direttamente ... alla città che diede il nome al mare Adriatico: ora gli autori antichi appaiono in generale concordi nel rivendicare questo vanto all"A8pdoc veneta...».

 

(11) G. DEVOTO, Gli antichi Italici, op. cit., pag. 103: « ... è 11 termine che indica le tribù più vicine a Roma dalla parte di nord‑est, più tardi tutto il territorio compreso tra il Nera e l'Aterno > .

 

(12) G. DEVOTO, Gli anticbi Italici, op. cit., pag. 109: « ... attestati solo in età romana, non documentati da una fase archeologica antica diversa da quella preindoeuropea dei Piceni, conservano nel nome la traccia del culto di animali ... Sono cosí chiamati secondo Festo (235 L) « quod Sabini cum Ascul'um proficiscerentur in vexillo eorum picus consederat > (perché un picchio si era posato sul vessillo dei Saúini mentre si dirigevano verso Ascoli) ».