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[ Niccola Palma - Storia di Teramo - Indice del volume 1 in formato immagine ]


Storia di Teramo – Niccola Palma (capitolo curato da Federico Adamoli)

 

CAPITOLO   VI.

Delle altre Città, e de' Luoghi abitati del Pretuzio.

              In grazia de' politici rapporti che da un pezzo ci legano   al suolo di Truento, siami permesso un cenno di quella Città, tuttoché non compresa nell' antico Pretuzio, oltre ciò che  è caduto in acconcio d'indicare nel cap. II. e nel IV. ove si sono riportati i passi di Plinio, di Strabene, e di Tolomeo, che ad essa hanno relazione. Pomponio Mela (lib.  2. de situ Orbis cap. 4.): Firmum, Adria, Truentum:  id a fiuvio...  ei nomen est (a.). Silio Italico (lib. 8.) annovera i Truentini fra i Soldati Romani: quique Truentinas servant cum flumine turres(z). Che Silio per Torri significasse la Città, lo avverte il suo Commenta­tore Pietro Marso.  Non importa che Pomponio Mela  abbia detto Castello  Truento,   non   altrimenti  che  Atri,   e  Fermo; quando l'Itinerario di Antonino Pio la dice Città,  Troento Civitas, e Strabone Urbs (Polis). Recandosi Cesare dal Piceno all'assedio di Corfinio, movimento che fu il vero tracollo della Repubblica, ed il principio della Romana Monarchia, piombò prima di ogni altro sopra Truento: come si ha dalla lettera di Gn. Pompeo a Domizio, fra le epistole di Cicerone ad Attico (Lib. 8. ep. 18.): Quod audieris Caesarem Firmo progressum in Castrum Truentinum venisse (e). E volendo Ottaviano Augusto ricompensare i suoi Veterani, loro assegnò in Colonia l'Agro Truentino (Balb. de Colon. Prov. Pie.}. Opina il Brunetti (Lib. 2. p. 5.) che Bertinoro, chiamato da Plinio (lib. 3. cap. 15.) Forum Truentinorum, sia una Città costruita dai nostri Truentini; giacché tutti quei Fori dell' Ottava Regione ritene­vano il nome dei fondatori Gladio, Livio, Pompilio, Cornelio. E' sentimento comune che Truento rimanesse devastata dai Goti, e dai Longobardi. Sbagliano però il Biondo, e Leandro Alberti nel non riconoscere alcun Paese surrogato a Truento: mentre vicino al fiume, dove al presente è il così detto Porto di Martin-S'ecuro, sorse dalle ruine della Città il Castello di Torri a Tronto, così probabilmente chiamato dalle Torri ancora superstiti fra quelle, onde, a testimonianza di Silio Italico, era Truento adornata: e sui colli della Civita venne Civita-Tomacchiara. A mio parere eziandio Colonnella ripete l'origine da Truento. Di quel Paese infatti niuna memoria s'incontra presso gli antichi, e niun segnale di antichità si è potuto rinvenire sul suolo che occupa. E quel Columbella pretesa da Marcucci come fabbricata dai Latini Albanesi (Sag. d. co. Asc. §. 3. n. 11.) avrà tanto fondamento come l'Albula che pur immagina alla foce del fiume Albulate. Troppo dovetter sentire il bisogno di ritirarsi in sito vici no sì ma fortissimo i Truentini, bersagliati da tante nemiche invasioni colà giù dove le Consolari Flaminia e Salaria si riunivano, e dove trovavansi esposti ai colpi di mano de' terrestri e marittimi scorridori.

              Di Castro, o Castro-nuovo Città del Pretuzio, mi trovo aver già nel cap. II. e nel IV. indicato il sito, e riportate le autorità di Plinio, di Strabene, e di Tolomeo. Ma Plinio altra menzione ha fatto di Castro al cap. 5. del Lib. 3., in cui fissando la latitudine d' Italia, scrive così: Ab ostia Aterni amnis in Adrìaticum mare influentis ad Tiberina Ostia, 136. Et paulo minus a Castronovo Adriatici maris Alsium ad Thuscum aequor (D).



              Più  volte  ebbe  Castro  la  sventura  di  divenire  Colonia Romana. Nell'epitome del Libro XI. di T. Livio, dopo essersi riferito che il Console Curio Dentato due fiate trionfò in un anno, una dei Sanniti, 1' altra de' Sabini, si soggiunge: Coloniae deductae sunt Castrum(1}, Sena, Hadria(E) il che può corri­spondere  ali' anno  di  Roma  462,  o  463.  Vellejo  Patercolo (lib. 1.) parla dell'occupazione fatta di Fermo, e di Castro da Coloni nell' anno 489. sul principio della prima guerra Punica. Ho difficoltà per altro ad ammettere due deduzioni in sì breve intervallo. Quindi o il testo di Patercolo deve intendersi di una mera occupazione, o bisogna convenire con Cluerio (lib. 2. fol. 647.) che le due fin qui cennate deduzioni fossero in realtà state una sola,  soscrivendosi,  riguardo al tempo,  all'indicazione  di Patercolo. Fu quindi Castro, fortificato da Siila (Frontin.  de co/ok.). Sotto Ottaviano Augusto, il quale al dire di Svetonio (in vit. Aug. ) popolò l' Italia  di  trentadue Colonie,  divenne Colonia Militare, assicurandocene in tre luoghi Frontino, o per dir meglio il compendiatore di Frontino, di Balbo, e di Siculo Fiacco,  nel  libro   de   Coloniis:   Ager   Cuprensis,   Truentinus, Castranus, Aternensis le gè Auguste a sunt assegnati (f). Ove si osservi a meraviglia serbato l'ordine geografico dal Nord al Sud: ordine che turbò Tolomeo, ponendo la Cupra (il cui sito era la Civita, a meno di un miglio da Murano) fra Castro, e Truento. A nuovo assegnamento a' Tribuni e Soldati soggiacque finalmente, giusta lo stesso Scrittore, P Agro Castrano sotto Nerone Cesare. Che Castro avesse un Prefetto proprio, il sappiamo da uno de' titoli dati a Cajo Vitale nella lapida posta al sarcofago di costui, rinvenuta nel 1771. entro l'orto Ducale di Atri: sulla cui interpretazione non andando di accordo il Francese viaggiatore Ab. di Chaud-Puy col Sig. Alessio Tuli], vennero le discrepanze rimesse al giudizio dell' insigne Archeo­logo Antenori. Al nostro assunto basta recarne le prime parole, sulla lettura delle quali non cadde dubbio:

C. CA. FI. VE. VITALI. DEC. COL

HAD. ED. III. PREF. CAST. NOV. IIVIRO

CVRATORI. etc. (2)

Fra le tante ostili invasioni, cui Castro andò soggetto, per la sua posizione alla riva del mare e lungo la strada Salaria, è difficile determinar quella, in cui alla distruzione di esso adoperato venne il mezzo terribile del fuoco: che pur conosciamo di essere stato adoperato, almeno una volta. Se n' ebbero chiari indizj nel 1828. conducendosi verso il lato meridionale di Castro, da Po­nente a Levante, la nuova Via Distrettuale: e quasi nel medesimo tempo aprendosi una traversa da essa fino a Giulia, colla quale le rovine di Castro rimasero in gran parte solcate nell'opposta direzione, cioè da Settentrione a Mezzogiorno. Negli scavi, ch' entrambe le strade richiesero per l'opportuno livello, non comparve affatto, nella profondità maggiore, alcun oggetto combustibile, sebbene comparissero metalli fusi, e pavimenti di mosaico cal­cinati nelle superfici. Ma rompendosi un basso e grosso muro, si ebbe l'ultima pruova della sofferta catastrofe, per essersi fra esso ed altro contiguo muro trovate circa sessanta libbre di monete di argento, in parte liquefatte ed in parte arrossite dal fuoco, ad onta del forte riparo, che dall'incendio le avea difese. Con sommo dispiacere de' Collettori si riconobbero tutte e poi tutte della Famiglia Tituria, e di due soli effigiati ovvj, è vero, ma pregevoli per la testa di T. Tazio, ch'entrambi esprimono nel campo, e per due fatti storici che ricordano nei rovesci, quali sono il ratto delle Sabine m uno, Tarpea oppressa cogli scudi nell'altro. (Ed è perciò che al tempo di Giulio Cesare, cui la Prefettura monetale di L. Titurio Sabino appartiene, o ai tempi prossimi seguenti, io riferisco l'epoca, in cui si credè prudenza il porre quel contante in sicuro). Quindi dopo essersene mandato un saggio al Direttore del Regal Museo Borbonico, che ne ritenne alcune, e rispinse il resto, e dopo i pochi acquisti che i curiosi ne fecero; tutto colò in mano degli orefici, con poco profitto degli appaltatori e degli operai, che prima delle misure del Regio Giudice e dell' Inten­dente, aveano saccheggiato il nascondiglio.

              Che Castro non fosse semplicemente un piccolo luogo for­tificato, come il valore del nome parrebbe dimostrare, ma una vera Città; si può inferire da parecchie edizioni dell' Itinerario, in cui è chiamato Città, Castrum Civitas, e con maggiore sodezza dall'esame de' suoi vestigj, rimarcati già da Cluerio(3), come avanzi magnae urbis. Questi si estendono in forma di quadrato, ciascuno de' cui lati ha più di un quarto di miglio di lunghezza, parte sul piano al lido del mare, e parte sopra un' eminenza, che dicesi Terra vecchia. In ambedue le parti si riconoscono i vetusti ruderi, detti dal nostro popolo Saracineschi: ma solo sull'emi­nenza si ravvisano gli avanzi del tempio di S. Flaviano, e gl'indizj de' tempi posteriori. Dal che si può conchiudere che rumato Castro (né sappiamo se una volta sola) dai disastri che hanno oppresso i nostri Paesi marittimi, si fossero i Castrani ristretti nella parte più alta, e meno debole: tanto più che appariscono le reliquie di una muraglia dividitrice l'eminenza dal piano, e quella non questo vedesi munita di fossato. Rimase nulla dimeno nel piano, o sorse di poi qualche abitazione, ond' è che nelle carte dei bassi tempi vedremo Castrum S. Flaviani, e Suburbium S. Flaviani. Delle mura che circondavano per intiero l'antico Castro, rimangono notabili tratti. Quelle ad Oriente sono ora calcate dalla strada Consolare, in grazia della quale furono a via di mine atterrati i residui della Porta verso il mare, nel 1820. Il lato occidentale giunge al Casino de' Sigg. Partenope: e qui resta un ponte di mattoni, imboccante alla Porta di Castro verso Interamnia. Una strada ora divide le mura Settentrionali dal Casino de' Sigg. de' Bartolomei: mentre le Meridionali si discostano di poco dal corso attuale di lordino. A sinistra della Porta, che dava ingresso a Castro dal canto del fiume, si riconosce un' antica fontana. Dei monumenti niuno ha tenuto conto fin qui: ma di presente ha preso a raccoglierli più d'uno, e fra gli altri il Sig. Angelantonio de' Bartolomei, che ha adunato capitelli (tra i quali due assai belli di colore turchino) fusti di colonne, e mat­tonelle di marmo. Qualche altro pezzo si riconosce tra i fabbricati di Giulia, e segnatamente due grossi stipiti di marmo, giacenti sulla piazza, accosto la Collegiata.

              Le adjacenze di Castro presentano pure avanzi di antichità. Tale è una serie di sepolcri fabbricati, chiamati dai Giuliesi Muracche, lungo la strada da Castro ad Interamnia, rimasti ormai scheletri per l'avidità di chi vuoi profittare de' loro materiali pe' nuovi edifizj. Tale è l'iscrizione di L. Vettio, esistente nel soppresso Priorato de' Celestini di Giulia, riportata dal Delfico alla pag. 143. Tal è il frammento, che leggesi nel già Monastero di S. Salvatore a Bozzino, di là dal fiume:

M. PETVLCIVS M. F

              PR

L.           L. SATRIVS L. F

D. S. S. E. C (4)

Altro che conservasi nel mio Casino

L.        L. SEPTIMIVS PRAECO (5)

 

Di entrambi il Delfico ebbe notizia quando l'Interamnia Pre-tuzia erasi già impressa. Tali sono parimente la Grotta nel già orto de' Cappucini, ora fabbrica di manifatture del Sig. Comi, di cui le pareti, la volta, ed i pilastri sono di quel genere di fabbricato, che i Romani chiamavano Opus Signinum: un pavi­mento di bagni a musaico, ed a piccole mattonelle a spiga, a tre quarti di miglio a settentrione di Castro, sul piano marittimo, in contrada delle Fornaci: delle urne cinerarie, e delle casse sepolcrali chi di pietre, chi di opere lateriche.

              Andiamo debitori a Tolomeo (lib. 3. tab. 6. Europ.) della notizia di un' altra Città del Pretuzio, cioè di Beregra, o Beretra, o Eerethra, secondo le varie lezioni: Praetutiorum Civitates, qui sunt magis orientales Marsis, Eeregra, Interamnia (g). L'aver Tolomeo unita Beregra ad Interamnia, e non già a Truento ed a Castro, dee indurai a credere che dessa fosse una Città mediterranea. E se piaccia riflettere a quanto spesso siasi scambiato il B. in V. e vice versa nei testi degli antichi Scrittori, non meno che nelle lapide e nella pronuncia; non si durerà fatica a convenire che Veregra, Colonia Romana, ugualmente che Castro e Truento, per legge di Augusto nella Regione Picena, sia identica a Be-regra(6): Veregranus Ager ea lege continetur, qua et Ager Theatinus (h). E descrivendo Frontino l'Agro Teatino non dimenticò di dire: Ager ejus lege Auguste a est assignatus, finttur sicut con-suetudo est in Regione Piceni (I). Né qui sia vano il ricordare che in virtù della divisione dell' Italia ideata da Augusto (7), il Piceno abbracciò tutto il tratto di paese, che stendesi fino al corso della Pescara: cosa che non bisogna perdere di mira per la retta intelligenza degli Autori, che scrissero dopo quell' epoca. Niuna contraddizione pertanto risulta dal dirsi da Tolomeo Beregra Città de' Pretuzj, e dall' accennarsi da Frontino Veregra nella Regione del Piceno. Per quanto però è sicuro che Beregra o Beretra sia stata una Città de' Pretuzj, altrettanto è incerto il Paese ad essa surrogato. Il Muzj (Dial. di var. lez. gior. I.) la crede distrutta, e ne determina la situazione vicino la Rocca di Bisegno, dal perché lesse in Tolomeo Beretra Bisignana: aggiunta, che non ho poi rinvenuta nelle diverse  edizioni da  me riscontrate.  Non piacque al Riccanale (Disc. Cron.} l'avviso del Muzj, e balzò Beretra nelle vicinanze di Celiino, allegando l'autorità del mo­derno Geografo Negri. Il Ruscelli traduttore, e commentatore di Tolomeo, a Beretra sostituisce Montorio. Delfico (p. 70.) con più ragioni etimologiche, ed autorità ha attribuito a Civitella del Trento tal onore, ed ali' opinione di lui si è soscritto Giuseppe del Re (Disc. sugli Apr. ). In onor del vero mi è forza osservare però, die la ragione in apparenza più forte addotta dal primo, cioè « che negli atti del martire S. Emidio Vescovo di Ascoli, o veri o falsi che essi sieno (assai antichi però) la nostra Civitella è nominata Ber egra » non ha il menomo fondamento. Più non esistendo, anzi non esistendo né anche ai tempi dell'Appiani, e de' Bollandisti gli atti di S. Emidio, che il Purricelli suppose aver veduti nella Biblioteca Vaticana: non essendo mai stata, o almeno non rinvenendosi più da tre secoli la Vita del Santo, compresa nelle Storie Ascolane del Vescovo Trasmondo, e di Lino Diacono, entrambi del secolo XII.: non potendosi supporre che uno scrittore di così fino criterio, quale fu il Delfico, avesse fatti riscontrare gli atti, lasciati dal Cardinal Baronie nella Biblioteca Vallicellense, condannati per apocrifi non solo dallo stesso Baronio, ma dai Bollandisti, e fin dal Masdeu, acerrimo difensore delle glorie Ascolane (Dif. crit. degli atti di S. Em. p. 3.); dovè certamente l'A. alludere o agli atti storici di S. Emidio, i quali si credono scritti dal discepolo e compagno di lui S. Valentino, e de' quali si citano due codici, uno nella suddetta Biblioteca Vallicellense, l'altro nella Cattedrale di Ascoli: ovvero ad una più breve leggenda, stampata la prima volta in Ancona dal Tuberi nel 1522. e che il Masdeu dimostra essere un compendio rozzo ed imperfetto degli atti lasciati da S. Valentino. Or né in quelli né in questa vi ha parola, che possa adattarsi sia a Beretra, sia a Civitella del Trento. Egli è vero che negli atti Valentiniani si legge una Città chiamata Picfavis, che l'Appiani lesse Pitinatis, ed una Città de' Piceni. Ma l'una era evidentemente sita sulla strada diritta da Roma ad Ascoli, onde Appiani la suppose nella Provincia di Aquila, ed è probabilmente Pitino, poscia Pedicino, segnato nella Tavola Peutingeriana a sette miglia da Bruii: l'altra non poteva esser che Fermo, perché ivi il Santo destruxit aram Apollinis, et idolum comminutum frustatim in fluvium Tennae jactavit(^). Altronde per identificare Beregra con Ci vitella riman­gono due difficoltà: la prima si è che il suolo di questa non pre­senta alcun monumento di antichità: è la seconda che l'esistenza d'una Colonia Romana quasi sulla metà della strada fra Interamnia ed Ascoli mal si combina collo smembramento di una vistosa porzione dell'Agro Interamnite, espressamente ordinato perché la pertica di Ascoli avesse un incremento: di che si parlerà nel Cap. VIII. In somma l'ubicazione di Beregra è ancora un problema da sciogliere. A noi basta che dessa sia stata nel Pre-tuzio, e che l'autorità di Tolomeo sia per rendere mai sempre vani gli sforzi di chi amerebbe traslocarla di là dal Tronto(8).

              Oltre Interamnia, Castro, e Beretra non si conoscono altre Città de' Pretuziani. La moltitudine sì de' ruderi, i quali si osservano tratto tratto per tutta la Regione, dimostra che per questa stessero sparsi de' Vichi, Paghi, o Paesi abitati in gran numero: Si verificava del Pretuzio ciò che Strabone (lib. 5.) rimarcò de' Sabini, e degli altri popoli a noi vicini, Tenues habent urbes... Degunt hae gentes fere in vìcìs (m). Le lapide impresse dal Delfico, ed ancora esistenti in Poggio-Umbricchio, in S. Maria a Brecciano presso Montorio, in Fornarolo, in S. Omero, ne' Fichieri Villa di Campii, e nel già Palazzo Vescovile di Campii: quella eminentemente bella, che esisteva in Bellante, riportata dall' Andreantonelli, i due frammenti trovati in Miano dal Bru­netti non sono i soli indizj della coltura generale dei Pretuziani; mentre anche fra le lapide della raccolta particolare dell'Autore ve ne sono di quelle, che ei fece trasportare in sua casa dalle vicinanze di Villa Gesso, com'è la terza; dalla Chiesa vecchia di S. Paolo a Torricella, come la decima quinta; da Nepezzano, come la ventesima; dalla Chiesa di S. Pietro a Campovalano, com'è l'ultima in greci caratteri, e com'è pure qualche altra. Dopo la morte dell'illustre Collettore si è scoperta la seguente iscrizione, scolpita in un sepolcro di grosse pietre, disotterrato nelle pertinenze de' Collicelli Villa di Campii, in contrada di Case Carulle, ove tuttavia può riscontrarsi

 

L. FERONIO. L. L. SALVIO

L.                QVEIDIO Q. L. PHILOSITO(9)

 

Non vi ha quasi Villaggio, nelle cui campagne non siensi, a memoria de' viventi, trovati sepolcreti, figuline, e medaglie Romane in tutti e tre i metalli. Nei paesi marittimi si rinvengono eziandio monete Urbiche, e Greche. Mi duole che niuno de' nostri trapassati Gentiluomini si fosse mai seriamente determinato a disporne una collezione: e si sono veduti con indifferenza pe­rire i numismi anche rari di bronzo in mano degli Ottonari, e de' Campanari: quelli di argento, e di oro in mano agli Orefici. Solo alla fine del passato secolo tre benemeriti Concittadini, i Sigg. Melchiorre Delfico, Barone Alessio Tullj, e Gio. Francesco Nardi si applicarono a numismatiche raccolte. Ma nel Gap. V. si è fatto un cenno della destinazione, che ha avuta la prima: e nel Gap. II. si è indicata la disgrazia incontrata dalla seconda, incontrata pur dalla terza nel medesimo giorno e modo. Trava­gliano di presente alla possibile perfezione di altrettanti Musei il Capitano Sig. Giuseppe Montorj, il Consigliere d'Intendenza Sig. Domenico Oliva, da anni molti fra noi commorante: ed ultimo, per tutt' i titoli, chi scrive queste memorie: a' quali tre allude il eh. Autore dell' Antica Numismatica di Atri (p. 63.). Rapporto al suolo dei Luoghi abitati dai Pretuziani, quattro denominazioni mi sembrano meritevoli di riflessione. La prima è Civitella, nome che nel secolo XI. avea un Castello, oggetto di famosi litigi fra i Vescovi Aprutini, ed i Monaci di S. Salvatore a Sozzino, come da più documenti, i quali saranno riportati al loro luogo. Le voci popolari di Civita, Civitella e simili sono un sicuro segnale di Città preesistenti. I cennati documenti indicano abbastanza che il Castello suddetto sorgeva non lungi da Castro, e ne' dintorni di S. Salvatore. Ed appunto ad un terzo di miglio al Sud di questo, nel territorio di Cologna, si riconoscono gli avanzi di un Paese, quantunque non più Civitella, ma S. Martino, dal nome di vicina Chiesa, anch'essa distrutta, oggi la contrada si appelli.

              Pezzi di fondamenta e di edifizj, ricordando l'istabilità delle umane cose, rendono in un senso malinconiosa la veduta, altronde pittoresca, la quale si gode dal punto estremo delle colline, che sovrastano alla sponda dritta di Tordino, là dov' esso si volge in declivio verso l'Adriatico. Il sito vien detto Sozzino, e che ivi stato fosse un Paese di tal nome, il sottoposto Monastero di S. Salvatore a Bozzino, di cui rimangono in piedi una porzione di fabbriche convertite in rustica abitazione, e la parte bassa del campanile, non permette il dubitarne. Non si può nemmeno mettere in dubbio che il corso di Tordino sia stato per lo addietro assai più vicino -a Bozzino di quello che oggi lo sia: e per la naturale tendenza a gittarsi sulle coste settentrionali, che hanno generalmente i nostri fiumi: e per le tracce del primiero alveo, che ancora si discernono: e pel pendìo che ivi conserva tuttora il terreno, circostanza, la quale ha obbligato a munire di argini la strada Consolare in quel passo. Or se si consideri che Truento, ed Aterno Ci ttà, e due Castelli chiamati Salino desunsero i nomi dai fiumi, presso la cui foce erano sorti: e che siccome i vocaboli Retino, Beczino, Biczino, coi quali e' imbatteremo nelle carte del medio evo, si sono modificati in Sozzino; così quei nomi stessi esser potevano una corruzione di Baiino: si potrà tenere per assai verisimile che nel sito dominante l'imboccatura del Satino, il Paese, che certamente vi esisteva, pur di Baiino avesse avuto il nome primiero.

              La terza denominazione degna di riflesso è a Vico, che costantemente ha ritenuta e ritiene un' antichissima Chiesa, sotto il titolo di S. Maria, nel Comune di S. Omero, in vaga pianura sulla sponda destra della librata, nelle cui mura si vede tuttavia qualche pezzo di Opera reticolata. I suoi contorni sono pieni di ruderi Romani, di tegole, di urne, e di altre anticaglie (10). Ne abbonda più che mai un podere del Sig. Presidente Benedetto Cornacchia. Un pezzo di grossa colonna giace pochi passi lontano da detta Chiesa, solo perché non puossi comodamente trasportare. Del resto i Neretani han tolta e manomessa ogni cosa nell' edificare le case nuove del loro Borgo inferiore, senza perdonarla alle iscrizioni. Una per miracolo se n' è salvata, rinvenuta nel 1813. e sta murata avanti la casa di Simone Sorgi in Nereto:

TERTIA. TVRPEDIA

EX. TESTAMENTO

L. BET. VI. C. F. FAB

FILI O

 

Non parlo dell' altra, eh' è sul pavimento della Chiesa di S. Maria, perché data in luce dal Delfico. E' quindi chiaro che quivi stesse un Paese, e di non poca considerazione. Si sa che Vichi erano dagli antichi chiamati i Luoghi, che componevano 1' agro o territorio di una Metropoli, quando non fossero fortificati, né cinti di mura. Per tacere altri esempi, troviamo nell' Itinerario di Antonino, lun­go la nostra Via Salaria, Vicum novum, Vicum ladies.

              Né solo nei siti marittimi e ne' medj, ma verso i monti altresì ebbero i Pretuziani Luoghi abitati rimarchevoli. Il passeg­gero, che da Teramo va a Rocca S. Maria, o a Valle Castellana, non può non soffermarsi a contemplare un piano ben lungo e competentemente largo, circondato e come naturalmente difeso dal banco di pietra, su cui è elevato, e tutto sparso di edifizj adeguati al suolo, eh' egli incontra a sinistra, e non esclamare: qui fu una vera Città. Fano è il nome di questa pianura, nome che porta con sé la dimostrazione dell' antichità del grosso Paese ivi già sorto, ai tempi dell'idolatria (12). Che desso sopravvivesse allo stabilimento della vera Religione, non è a dubitarne, giacché vi si sono trovate Cristiane sepolture, e vi è memoria delle Chiese di S. Maria in Fano, e di S. Lucia in Fano. Vuole la tradizione che in una guerra Fano fosse distrutto, e fossero i suoi Abitanti passati a filo di spada. Sarà così, e sarà pure che i miseri superstiti fondato avessero non solamente Borgonovo, come il nome stesso lo indica, e dove stanno trasferiti i titoli di S. Maria, e di S. Lucia, ma S. Stefano ancora e Ginepri, tre Villaggi vicino a Fano, il primo a Levante, il secondo a Tramontana, ed il terzo ad Ostro, nei fabbricati de' quali (specialmente dei due ultimi) si discernono materiali serviti ad antecedenti e più nobili co­struzioni, e i cui Naturali posseggono l'area di Fano, ciascuna delle tre Ville dalla sua parte. Nella punta che domina Borgonovo, ove il masso è più alto, ed il sito da quel lato inespugnabile, qualche Feudatario dovè innalzare o ristabilire una Rocca, detta di Fano, e delle Padule, a causa delle paludi, che le acque mancanti di scolo vi formano ad Oriente, ed a Mezzodì. Anche la surrogata Rocca è perita. Che se la Ber etra di Tolomeo sembra che stata fosse in situazione mediterranea: e se ivi è ragionevole supporre la terza Città de' Pretuziani, ove nella nostra Regione, di Città, lontana da Interamnia e da Castro, sussistono ancor le reliquie; nell' incertezza sulP ubicazione di Beretra, vai meglio inclinare per Fano. E nella stessa guisa che Castro, per ragione di un Santuario, cambiò nome in S. Flaviano; così, per la celebrità di un Tempio, potè averlo più avanti mutato Beretra. In tale supposizione rimarrebbe spiegato altresì come mai del vocabolo Beretra non sia fra noi rimasto alcun vestigio.

 

 

 

 

 

(') R. Faranda, Le testimonianze etc., op. cit., pag. 8: « Nel 264 cade, a detta di Velleio Patercolo, la deduzione della colonia di Castrum Novum. Proprio in concomitanza con la fine della guerra Vager publicus interamnita fu assegnato alla tribù rustica Velina ».

(2) La lettura data dal Palma è incompleta: diamo qui di seguito l'esatta e completa trascrizione desunta da C.I.L., IX, 5016: C(aio) Capiv(a)e Vitali dec(urioni) col(oniaé) / ed\.ilt\ III pref (ecto) Cast(ri) Nov(i) Ilviro / cura­tori Kcd(endari) Aveia(ti) p(r)aet(ori) tert(ium) q(uin)q(uennali) / curat(ori) muner(is) public(i) bis \_qui vixit\ an[nis LII me(n)s(ibus) VII die(bus) XII lulia Ratina / marito et Capive Ucia Vitalis et / Vitalis Ampliatus Rufinus fili et/ered(es] patri pientissimo b(ene) m(erenti) / jecerunt\.

Si  tratta di una iscrizione votiva, dedicata dalla moglie e dai figli,  a Caio Vitale che fu tra l'altro decurione edile, "prefetto" di Giulianova e duumviro.

 

(3) cerulli R. Storia illustrata di Teramo, Teramo 1967, pag. 148. Qualche ritrovamento archeologico - al di là del Tordino, precisamente nelle piane di Cologna - ha fatto arditi taluni studiosi a sostenere che Castrum sorgesse « dextero amne » come aveva erroneamente detto il Cluverio.

Il Cerulli (op. oit., pag. 150), ritiene che al di là del Tordino fossero esistite delle costruzioni di tipo militare a difesa del porto canale ricordato nel Cartulario della Chiesa Teramana.

 

(4)              M(arcus) Petulcius M(arci) f(ilius)  / L(ucius) Satrius L(uci) f(ilius)  / ?r(aetores) / d(e) S(enatus) s(ententia) ftaciundum) c(uraverunt).

L'iscrizione datata in età repubblicana, si riferisce a Marco Petulcio e a Lucio Satrio, pretori, che curarono l'erezione del monumento su ordine del Senato. C.I.L, IX, 5145.

 

(5)          L(ucius) Septimius / praeco.
Lucio Settìmio, araldo. C.I.L., IX, 5151

 

(6)              G. speranza, II Piceno dalle origini alla fine d'ogni sua autonomia sotto Augusto, Ancona 1934, voi. II, pag. 191: « Beregra o Veregra (tra Qvitella del Tronto e Montorio). Municipio certamente, perché accennato da Plinio. Sebbene siasi contrastata la sua ubicazione per mancanza di la­pidi attestanti il suo nome, sembra poterlesi assegnare il posto tra Civitella e Montorio dov'era un vicus Herculis sulle scaturigini di due fiumi Itìernino e il Salinello, in prossimità del Vomano. Oltre i suddetti due luoghi conteneva P. Umbricchio ed altre borgate d'intorno ».

 

(7)               (7) R.  Faranda,  Le testimonianze etc., op.  cit., pag.  12:  « a quest'età appartiene come è noto, la divisione dell'Italia in undici regioni: il Piceno e quello che sarebbe  stato poi  l'Abruzzo  I ulteriore costituirono  la V regio, mentre le zone a sud dell'Aterno formarono la IV, cioè il Samnium ».

 

(8)               L'esatta ubicazione di Beregra resta attualmente ignota anche se di re­cente, non lungi da Ponte Vernano, nei pressi del bivio che porta a Castelli, sono venuti alla luce i resti di un grande centro abitato che potrebbe essere iden­tificato con la terza città dell'Agro Pretuziano, descritta dal geografo Tolomeo.

 

(9)   L(ucio)   Feronio   L(uci)   l(iberto)   Salvia   /   Q(uinto)   Veidio   Q(uinti) l(iberto)  Philosito.

A Lucio Feronio Liberto di Lucio, a Salvie Quinto Veidio liberto di Quinto e a Filosito. C.I.L., IX, 5141.

 

(10)          Forse il Palma fa riferimento ai reperti appartenenti ad una vasta necro­poli romana del periodo dell'impero, recentemente identificata nei pressi di S. Maria a Vico.

 

(11) Terlia Turpedia / ex testamento / L(uci) Betui C(ai) f(ili) Fab(ia) / fili. Terza Turpedia in base al testamento di Lucio Betuo. C.I.L., IX, 5169.

 

(12) Era nel giusto il Palma quando affermava che sulla piana di Monte Fano fosse esistito un tempio. Tuttavia l'esistenza di un grande centro abitato fu smentita nel 1970 allorché furono effettuati regolari scavi che portarono al solo rinvenimento di un grande basamento appartenente ad un edificio cultuale, con pavimentazione mosaicata e con al centro i resti della cella. Il Tempio, situato nella parte più alta di Monte Fano, è databile intorno al II sec. a.C.